XII puntata – “Gesù. Un racconto sempre nuovo”
XXIX Alla vasca di Betsaida È dall’ultima Pasqua che Gesù con i suoi non veniva qua. In primavera la gran città di Dio era più dolce, meno febbrile. Vicino a dove stanno passando ora, dietro la fortezza Antonia, Gesù aveva guarito un paralitico. Pietro lo ricorda. È successo alla vasca di Betsaida, la più piccola delle cinque grandi vasche di raccolta di pioggia della città. In quel luogo dedicato ad Asclepio, il dio greco della salute, sostano malvissuti di ogni genere in cerca di un po’ di refrigerio, tenuti dalle guardie lontani dal bordo. Ogni tanto una donna buona o un uomo pio allunga loro un bicchiere o uno straccio bagnato. Nei pressi di quel luogo, la città dei preti, dei mercanti e dei soldati di Roma, diventa un luogo strano. Una zona senza regole, dove ci sono movimenti come di lucertole, nodi informi, di topi, uomini che strisciano si spingono si urtano. Malvissuti e malati, con zaffate di fetore e mugolii, scatti di rabbia, grugniti. Mezzi bisbigli. E ogni tanto il ribollire di acque. In primavera dunque, nei giorni prima di Pasqua, un uomo sciancato e immobile se ne stava là in mezzo, sperduto con il viso all’aria. Gesù era voluto andare presso la piscina e aveva atteso il momento in cui secondo il popolo un’ala d’angelo passa sulle acque, quando sale un ribollire che in realtà viene dal fondo della fonte. Pietro se lo ricorda bene. Aveva cominciato a ribollire l’acqua. «Passa l’angelo» avevano biascicato alcuni. E i malvissuti e i disgraziati cominciarono a spingere, a strisciare, tra versi, preghiere e imprecazioni. Qualcuno addirittura colpiva i vicini per farsi largo, con un bastone, steso a terra. Quasi tutti avevano chi li aiutava, un parente, un compagno di sventura, una donna. Quel tizio invece se ne stava fermo a terra, steso, fremente. Non poteva muoversi. E non aveva nessuno che si curava di avvicinarlo al bordo della piscina miracolosa. Gesù si mise accanto a lui. L’uomo aveva la faccia storta, sbavava, tremante. Lunghe rughe gli solcavano la fronte e le guance. Le braccia rattrappite erano scarnite. Le gambe percorse da una specie di tremito febbrile. Un nodo di panni lo copriva a malapena. Aveva la barba lunga, che aveva invaso quasi tutta la faccia. Due occhi cisposi e i capelli appiccicati e lunghi. Due lacrime per lo sforzo di provare a scivolare sulla schiena o per chissà cosa gli scendevano di lato. Intorno gli altri strisciavano e si allungavano. Gesù gli aveva chiesto: «Vuoi guarire?». L’uomo aveva roteato lo sguardo malato nel cielo bianco e lattiginoso, cercando il volto di chi parlava e di tenere fermi gli occhi avvelenati sullo sconosciuto ben vestito che si era curvato su di lui. Dopo un istante, aveva fatto un impercettibile sì con il mento. Gesù prendendolo quasi in braccio lo aveva sollevato. Pietro e gli altri avevano visto. L’uomo sollevato tra le braccia di Gesù barcollava, rideva. Come un bimbo invecchiato. Come se stare in piedi dopo anni e anni di prostrazione lo stupisse e quasi lo divertisse. Sembrava un saltimbanco un po’ fuori esercizio. Ci fu un caos, un imprecare. Gli altri malati e le persone che si trovavano in quel luogo infernale cominciarono ad agitarsi e a gridare. Qualcuno provò ad aggrapparsi alle vesti di Gesù, ma lui, dopo aver detto qualcosa all’uomo che aveva guarito, era sparito via veloce. Pietro lo ricorda, era di Sabato, e subito qualcuno aveva iniziato a gridare al sacrilegio. Passando ora ancora vicino alle vasche, Pietro vede che lo spettacolo non è cambiato. Grappoli di ammalati, di disgraziati che incanagliscono lì, strisciano, tenuti lontani dalle altre vasche dai soldati. Poi dopo quella Pasqua, Gesù aveva fatto un’altra cosa sconveniente. Pietro, mentre cammina ora per Gerusalemme, ci ripensa, quasi sorridendo. «Andiamo in Samaria» aveva detto il Nazareno mentre scendevano dopo l’insegnamento al Tempio. E i dodici discepoli, quasi tutti Galilei, avevano pensato: “Ma allora quest’uomo cerca guai. Cosa può venire di buono da quella regione di malfidati e di avidi?”. Già prima di arrivare allora a Gerusalemme avevano provato a entrare nei villaggi di quella regione di gente con poca voglia di lavorare e dai costumi arretrati, ma ne erano stati scacciati. E lui, ecco, ci voleva tornare. Forse il sentore di scontro con i farisei e i sadducei consigliava Gesù di togliersi per un po’ dalla Giudea. Pietro ammira il coraggio di Gesù. La forza con cui va contro i luoghi comuni, le usanze. Ma in pochi facevano attenzione davvero e capivano che cosa animava quello strano uomo. E i dissidi con i sacerdoti facevano mormorare tanti. Raramente qualcuno lo difendeva. Era successo con un vecchio membro del Sinedrio, Nicodemo. Aveva alzato la voce nel cortile del Tempio in sua difesa. Ma i suoi colleghi sacerdoti non lo avevano ascoltato, era rientrato nella folla. Gli scontri si moltiplicavano. Ma evidentemente non era questo che cercava. E così: «Andiamo in Samaria» aveva detto, sorprendendoli ancora. Cosa sta cercando? Si chiede Pietro mentre si addentrano nuovamente nella città grandiosa e tremenda e lui, come spesso gli accade, pensa ai giorni trascorsi. Anche lui sta cercando di capire. Di vedere che cosa veramente sta succedendo. A volte teme quasi che il cuore e la mente a furia di allargarsi si perdano. La Samaria era apparsa come sempre, una terra dolce, animata da movimenti di colline, molti tipi di alberi. Fianchi di colline su cui corrono ulivi e ulivi e ulivi. Sta lì, a separare l’aspra Giudea di pastori, deserti e montagne e la Galilea, ricca d’acqua per la pesca e schiantata nella roccia. Il cammino era stato percorso rapidamente. Come se Gesù avesse fretta di arrivare là, forse per visitare il pozzo di Giacobbe, presso il villaggio di Sichar. A quel pozzo si era radunato il popolo di Israele prima di entrare nella Terra Promessa, guidato dal fratello di Mosè, il condottiero che non entrò mai nel suo sogno. E ora invece il Nazareno si fermava lì, uscendo dal sogno di Gerusalemme. Arrivati al pozzo, accaldati …