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“per sempre. No, per sempre” il verso più “forte” del Novecento

“per sempre. No, per sempre” il verso più “forte” del Novecento

“Poi nella cassa ti verranno a chiudere/ per sempre. No, per sempre/ sei animo della mia anima e la liberi./ Ora meglio la liberi/ che non sapesse il tuo sorriso vivo”. Ritengo quel verso di Ungaretti “per sempre. No, per sempre” il verso più “forte” della poesia del ‘900. Nei versi dedicati alla morte del figlio Ninetto di nove anni, si incastona questa violentissima, e però urlante d’amore, inversione. Un “per sempre” che diviene un altro “per sempre”. Lui poeta del “sentimento del tempo” traversa il fuoco del rapporto tra presente ed eterno. E non lo fa per via filosofica o speculativa, ma aggredito dal dolore più grande possibile, la morte del figlio piccolo. E così si inchiava, si incendia questo verso, asciutto e quasi frastornante, contenuto nella poesia “Gridasti, soffoco”, come un chiodo di diamante e di lacrime. Ungaretti, “belva d’amore”, poeta e uomo inciso nella poesia e nella immaginazione del nostro paese, e intellettuale di natura europea, ci ha lasciato questo verso in controtempo assoluto nel Novecento, secolo di ogni riflessione sul tempo e sulla storia. Lui sapeva bene cosa fosse il dolore. Ci ha scritto un libro intero sopra, piangendo, per la morte del figlio Ninetto e del fratello. E però l’apice lo raggiunge in quella poesia che non volle nemmeno pubblicare in quel libro perché gli pareva esagerata. Ed esagerata è, quella poesia che finisce in un piovere attonito di stelle, per la realissima descrizione dello strazio, e per quel verso nodo, verso chiodo, quel verso dove si ricapitola la vita intera e l’intero universo che da imbuto dove pare doversi perdere persino il volto più caro diviene luogo di tracce luminose. Un “per sempre” che cambia direzione, che non imbocca il tunnel che pare obbligato della disperazione e dell’annientamento, ma quella della tremante e tesa visione di segni e frammenti di luci. Tutto questo, ripeto, mentre si contempla il dolore più inspiegabile e grande. E mi chiedo sempre, stupefatto e grato, da quale energia, da quale sterminato serbatoio di nostalgia del bene, da quale provatissima ed essenziale fede il poeta trae la invenzione di quel verso? Da quale segreto attaccamento alla vita, testimoniato fin dalle poesie di guerra e lungo tutto una vita appassionata di esistenza e famelica di bellezza e di conoscenza? Come se quel verso, quasi inumano nella forza che esprime, fosse la verifica più alta di una esistenza, del senso della “vita di un uomo” che mai cede, nutrito dalle linfe della letteratura più grande e della fede più semplice ritrovata nel tempo. Qui si esprime il big bang della forza poetica di Ungaretti, in questo rovesciamento del senso del destino comunemente inteso come dissipazione e perdita. Dissipazione a cui non si oppone, per virtù propria, la letteratura, nemmeno in quei tentativi di fermare in lettere d’oro il tempo del suo amato Petrarca. No, in questo verso grido e rovesciamento, agisce una energia che non viene dalle pur sublimi e incantate sapienze della letteratura e della poesia che Ungaretti frequentò e creò ai massimi livelli. Qui agisce una dismisura, una potenza di mistero. Come se quel “segreto” che lui stesso diceva esser la preda inseguita e mai raggiunta della poesia fosse emerso lì, in un punto, in un verso micidiale e memorabile. Un maestoso capodoglio tra le onde, o un riflesso negli occhi. Una doglia di parto dell’eterno. (Avvenire, 31 maggio 2020)

Ungaretti, scrittore scandaloso

Ungaretti, scrittore scandaloso

Ungaretti è il vero scrittore scandaloso italiano. Non solo perché la sua vita, e secondo voci che si rincorrono negli ambienti letterari, anche la sua morte, è stata piena di veri scandali, ma perché scandaloso è il nucleo della sua forza artistica rispetto al tempo in cui si è espressa e ancora oggi. Scandalosa è la sua bellezza. Scandalosa è la esclusione dal Premio Nobel, dato ai suoi due “colleghi” Quasimodo e Montale, i quali furono giustamente riempiti di onori dalla cultura dominante, mentre Ungaretti brindava, si dice, con “Montale senatore, ma Ungaretti fa l’amore”. Scandaloso il suo leggere e interpretare fisicamente la poesia mentre i due “colleghi” la offrivano con stile da borbottio ministeriale o sussiego da avvocaticchio di provincia. Scandalosa la sua quasi petulante ammirazione per Mussolini, appassionata per l’uomo e invece confusa, abborraciata sul piano politico – e soprattutto utile per uscire dalla fame o a cercar di campare facendo pigramente lavori burocratici. Scandalosa al punto di negargli quel Nobel che meritava e che attese fino alla fine, e che, secondo le dichiarazioni recenti della Accademia di Svezia, travolta infine da scandali e attribuzioni dubbie, fu negato per motivi politici (la prefazione di Mussolini del ’22) mentre ad altri scrittori fiancheggiatori di regimi totalitari comunisti non mancò. Scandalosa la sua visione cosmopolita, scandalosa la sua fame d’amore e di corteggiatore, scandalosa la sua posizione sul ’68, forse più estrema di quella di Pasolini. Scandalosa la sua adesione alla fede quando la cultura à la page se ne allontanava. E scandaloso quel suo modo di vivere, presentare, studiare la poesia come una montagna di senso, un viaggio nel deserto e nella foresta, una passione senza fondo, una nostalgia accesa, non una faccenduola da filologi e professorini. E pur che professore è stato Ungaretti! In Italia e in Brasile, quel suo affascinante perdersi e ritrovarsi in letture e divagazioni che i suoi allievi han fatto in tempo a raccontarmi. Una mole impressionante di studi, di letture, di attività letteraria in tutto il mondo, una lucidità feroce nell’investigare Leopardi, Petrarca, il suo preferito Jacopone. E poi scandaloso nell’aver della poesia una concezione così vasta, religiosa e non stilistica, così libera e profonda da poterla ribadire senza infingimenti dinanzi agli scrittori sovietici del realismo materialista e da riuscire ad accogliere e accompagnarsi alle diverse correnti, dalla Beat Generation ai poeti cantanti brasiliani, dal dialogo con Pasolini, fino al fiuto di intuire in Zanzotto un poeta di vaglia e di reale avanguardia rispetto ad altri che si proponevano come tali. E libero nell’aver dell’arte – indagata e amata nei rapporti con Fazzini e Scipione e altri – una visione attenta alle forze innovatrici, come vide in Burri. Ungaretti porta lo scandalo di un uomo antico e fanciullo nella contemporaneità. Nel ’69 guarda la luna conquistata e pur affascinato da quel prodigio lo legge all’interno del perpetuo desiderio umano. Scandaloso infine nel leggere il dolore che lo investe dai tempi della Guerra fino alla terribile morte del figlioletto di nove anni, come condizione ma non prigione dell’essere umano, nomade e in viaggio verso una “terra promessa”. Scandaloso, cioè vivo. (Quotidiano Nazionale, 1 giugno 2020)

Quattro idee non babbee per votare alle Europee

Quattro idee non babbee per votare alle Europee

Documento dell’associazione Amici di Marzo Il popolo non è solo un “No” Da molti anni, in Italia e in altri grandi paesi del mondo, è in atto un processo contrastante. Da un lato le élite che vogliono comandare senza la faticosa mediazione delle politiche nazionali e dei corpi intermedi hanno ovunque intentato grazie a media e magistratura processi alla classe politica. L’hanno screditata, spesso ma non sempre con buone ragioni, e additata agli occhi dei popoli come causa di ogni corruzione e male. Da noi nel 1992 pochissimi, tra cui don Giussani, dicevano che non sarebbe venuto del buono da tutto questo. Il termine “casta” coniato in Italia dal giornale delle élite economiche e culturali è stato usato per colpire una gran parte della classe politica. Quel malcontento popolare è montato ed espresso in vario modo. Ma le sue radici vengono da lontano, da certe false promesse non mantenibili, come vide già De Toqueville nel 1840, su cui si fonda la democrazia liberale, e la sua nuova versione chiamata globalizzazione. La promessa della “felice autonomia dell’individuo” si è rivelata in molti casi crisi e schiavitù economica di persone e popoli, creando una specie di cittadino “fanciullo” in balia a scontento e idee confuse. Molto tempo s’è perso, energie smarrite, occasioni sprecate, mezza Italia svenduta. Ma ora, insorgendo nuovi leader, nuovi problemi e nuovi media, quel malcontento si è coalizzato a volte in modo brusco contro le stesse élite che pensavano – dopo averlo aizzato – di guidarlo e che ora lo bollano come “populismo”. Il problema riguarda tutte le istituzioni, Chiesa compresa. Il termine populismo è ambiguo. Ogni leader, politico o religioso, ha un lato “populista”, cioè rischia di dare messaggi semplificati e indirizzati dal consenso. Continuare a dare del popolo una idea solo protestataria, è una menzogna comoda per le élite che vogliono in pochi governare molto e campare su falsi miti. Ridurre il popolo a sudditi che protestano o si intrattengono e campicchiano sotto il balcone del re è un sogno delle oligarchie di sempre. Invece sappiamo (perché lo vediamo) che nel nostro popolo ci sono forze costruttrici, creatrici di legami e che affrontano problemi piccoli ed enormi. A questa risorsa la politica deve dare più spazio, voce e strumenti. Passare da una politica screditata a una politica di stampo veterostatalista che vuole occuparsi di tutto sarebbe un disastro. Non di sola economia… Agitata come la questione più rilevante per cui restare entro la UE, l’economia si rivelerebbe, dinanzi alla alleanza Russia-Cina, alla Brexit, alla forza Usa, forse il primo buon motivo per allontanarsene. L’Europa deve andare oltre l’attuale UE, diventare come già indicava Giovanni Paolo II una terra di forti identità “dall’Atlantico agli Urali”, se no è un debole fantoccio bancario. Se il problema è attaccarsi a un carro che tira, visto depressione demografica, sperequazioni nord sud etc, forse meglio attaccarsi ad altri. Il modello di welfare protettivo ha valori e vantaggi, ma non ha impedito l’invecchiamento del continente. L’economia italiana ha crepe, specie in alcuni territori, ma è tutt’altro che morente. I modi per farla camminare ci sono. Possiamo dare un contributo, se non è troppo tardi, a una economia europea ispirata a una libertà temperata. Più possibilità di iniziativa, fuori da troppi vincoli fiscali e burocratici, e attenzione ai più deboli. Ma non si deve dimenticare che la perdita di vitalità economica non è mai dipendente da cause interne all’economia. E che separare l’economia e usarla come unico metro per valutare una società è fuorviante. Identità, il “problemone” tra gender e sagre di paese La risposta più adeguata al problema dell’identità è la partita aperta nella cultura e nella società europea da oltre quattrocento anni: dal Cogito ergo sum (penso e perciò io sono) di Cartesio alla domanda suprema di Leopardi alla luna “e io che sono?” e via via fino alle disperate visioni dell’ “oltreuomo” di Nietzsche e alle presunzioni di “autodeterminarsi” a seconda di desideri che divengono diritti, persino a costo di manipolazione genetiche e di pratiche di affitto di corpi altrui. Tanto più in Europa di fatto si nega – negli statuti e nella cultura dominante – la dimensione religiosa della identità umana, secondo cui il mio io e il suo valore intangibile sono fondati nel rapporto con l’infinito di un Dio creatore, tanto più va in scena la triste fiera delle mille identità possibili. Dove tutto può essere chiamato identità (dalle tendenze sessuali, al nazionalismo, ai gusti musicali) si fa largo l’ipocrisia del politically correct, e si prepara lo scontro. Non importa se per affermare mille identità occorre da un lato violentare dati di realtà, diritti di più deboli, censurare evidenti contraddizioni, o dall’altro risultare anacronisti e rifugiarsi nel passato. Si grida ovunque “identità!” e intanto non a caso si assiste a una crescita di fenomeni di ansia, con riflessi sociali evidenti. Nessuna identità parziale è adeguata all’io, che soffre in vario modo sotto maschere soffocanti. L’Europa esiste in quanto culla e difesa del valore infinito della persona umana, centro del messaggio cristiano, contro ogni tipo di fondamentalismo politico, economico, teologico o tecnocratico. Senza rinnovata identità religiosa laicamente espressa L’Europa diviene solo una locanda secondaria, peraltro incapace di evitare guerre entro i suoi territori o ai confini (dalla ex-Jugoslavia alla ex-Libia). UE ovvero Urgenza Educativa In questi anni, abbiamo avuto ingenti interventi in campo educativo della Unione Europea, orientati a favorire equiparazioni di standard e scambi internazionali. Dal punto di vista del metodo e dei contenuti educativi, non si sono avuti passi in avanti verso una maggiore libertà di educazione o alla educazione del gusto dei giovani, ma si è assistito al dominio espansivo dell’abilitazione tecnologica e del relativismo antropologico. Le scuole italiane ad esempio, sempre in debito, hanno investito milioni di euro in lavagne tecnologiche inutili specie alle Medie e Superiori. La conseguenza è una crescita della omologazione culturale, favorita dal pensiero unico politically correct vigente nei colossi dell’intrattenimento e che detengono i social. Occorre cambiare passo. Che i popoli europei ritrovino, in un grande sforzo educativo di nuove …