V puntata – “Gesù. Un racconto sempre nuovo”
IX
Il lago a forma d’arpa
I passi sono rapidi sulla polvere, tra i sassi, gli sterpi. Giovanni deve tornare a Gerusalemme. I suoi doveri di studio da sacerdote lo chiamano. Chiede ad Andrea di tacere della sua presenza a casa di Gesù. La sua posizione è delicata, è in vista nella cerchia dei più vicini al Tempio. Ne potrebbero nascere problemi. I due si guardano come da due promontori a picco sul mare. Cosa sta succedendo, si dicono senza dirlo.
Si dividono. Giovanni, giovane figlio di Zebedeo, non può tornare in Galilea, lo aspettano a Gerusalemme. La sua carriera di sacerdote, il suo destino, i sacrifici fatti da suo padre per farlo studiare al Tempio, però ora chissà... Il cielo bianco accompagna Andrea, non alza gli occhi dal sentiero che lo riporta velocemente verso casa, il lago di Genesaret. È là che abita, sulle rive di quel che ora chiamano pomposamente Mare di Tiberiade, da quando Erode ha costruito sulle rive una città ruffiana e ricca con il nome dell’imperatore. Il lago deve il suo nome alla forma d’arpa. Come uno strumento abbandonato dal cielo. Si trova più in basso del livello del mare, e nei grandi caldi dell’estate a volte il respiro manca mentre si tirano su le reti. In quella cavità le acque che cambiano colore con il cielo sono molto pescose.
Andrea ha una sacca con un po’ di formaggio. E della frutta che gli ha offerto Gesù. È ancora caldo anche se il pomeriggio sta finendo. La casa è lontana.
Lui e Giovanni hanno ascoltato e interrogato per ore quell’uomo. Ora è pieno di fermento, come se stormi di pensieri si alzassero in ogni direzione.
L’uno sa che l’altro sta rimuginando le stesse cose. Giovanni scendendo verso Gerusalemme, Andrea verso il Mar di Tiberiade. Una specie di sgomento, ma con una punta di gioia irrefrenabile. Quell’uomo ha parlato loro in un modo...
La casa era semplice, niente di speciale. Eppure, ogni volta che afferrava il bicchiere, o porgeva un piatto o citava un salmo, sembrava farlo con... con una cosa addosso, una forza, Andrea non sa come chiamarla, una specie di esattezza. E con una autorità che non aveva mai visto. Già mentre si avvicinavano alla sua casa, sentivano crescere il sospetto: una figura eccezionale. Il Battista non avrebbe gridato quelle cose. Ai loro orecchi di fedeli erano suonate presagio grandioso. E oscuro.
Ma ora il cuore non riesce a tacere: abbiamo trovato il Messia. Il Messia?
Andrea strappa un rametto da terra. Come per spezzare la corsa dei pensieri, renderli più ordinati. La storia della sua gente è segnata da sempre dalla presenza di Mashiach, gli Unti dal Signore. Uomini pieni di pietà e di saggezza, come Aronne, fratello di Mosè, il primo a ricevere l’unzione quando il grande condottiero si fermò sull’ultimo fiato, alla visione della terra promessa inseguita per quarant’anni e in cui non entrò. E uomini pieni di fuoco come il re dei re, Davide. Fu un Unto del Signore a guidare la battaglia tra gli adoratori di Dio e gli adoratori dei Baal a Meghiddo, quando furono scotennati gli adoratori di dèi stranieri. Ci sono saggi che digiunano nei deserti. Che non toccano carni. E invitano a convertirsi. Però solo lui, il dolce e tremendo Giovanni, ha introdotto il gesto rituale, estremo: battezzarsi per la conversione. Chiede tutto. Giovanni è fuoco. Ma lui ha indicato quest’uomo: l’agnello... Cosa voleva dire citando le Scritture che narrano dell’Esilio?
Questo Nazareno ha qualcosa di strano.
Lo hanno guardato parlare per ore, mentre la luce cambiava fuori dalla finestra. Ha offerto loro da bere e frutta, e la conversazione è stata fitta, specie all’inizio. Poi ha parlato quasi solo lui mentre le prime ombre calavano nella stanza.
Sono usciti nell’ora in cui le serpi tornano nelle crepe e i bambini chiedono di mangiare.
Il giovane sacerdote Giovanni fissa i cespugli davanti a sé. Dai suoi passi si alza la polvere che si posa sulle foglie delle pianticelle ai lati del sentiero.
La via fa alcune svolte seguendo il Giordano. Poi devia tra sterpaglie più rade. Gerusalemme gli apparirà splendida nella sera, dopo un paio d’ore di cammino. Vedrà le alte pareti ricoperte d’oro del grande Tempio urlare nella pianura.
Il sole sta tramontando ancora una volta sulle vite umane e non umane, il cielo da bianco s’è fatto infuocato, i pescatori stanno rientrando. Andrea comincia a sentire le voci che si gridano dalle barche. Dopo un ultimo pendio il lago a forma d’arpa si apre davanti ai suoi occhi. Sulla riva ci sono uomini che stanno raccogliendo le reti.
La sua dura gioia è un vento.
Scendendo quasi si mette a correre. Si ferma vicino a suo fratello Simone. Il viso del pescatore che lo guarda arrivare non cambia espressione. È corrucciato, stanco. Il sole ha picchiato forte anche oggi e il lago sembra non voler sputare pesci nelle reti.
«Abbiamo trovato il Messia» gli dice Andrea che si ascolta dire queste parole con una strana allegria.
Quello lo fissa con un viluppo di cordami in mano. I suoi capelli folti e ancora scuri sono sudati e mossi dalla brezza dal lago. Gli occhi sono tondi e mobilissimi. Sa bene che suo fratello non è tipo da scherzare su certe cose. La sua fede è tesa come le corde della rete quando il lago si agita.
Se lo erano detti più volte, mentre intorno al fuoco dove arrostiscono il pesce ragionavano dei tumulti nella regione e dei vari sobillatori. Sangue freddo, si erano detti. Non facciamoci incantare. La voglia di qualcosa di nuovo è forte, nessuno ne è immune. I sacerdoti e gli anziani faticano a tenere a freno il desiderio del popolo di trovare una guida forte. Ma Simone e Andrea, figli di Jona non sono gente da avere grilli per la testa. Devono tirare avanti la società di pescatori. Non possono mettere a seguire favole. L’uomo che sta presso la barca è il meno giovane dei due.
Se suo fratello Andrea dice così, pensa Simone mentre lo guarda e si avvolge una corda tra la mano e l’avambraccio, c’è qualcosa da andare a vedere. Lascia il viluppo a un suo giovane aiutante.
«Dillo agli altri, taglia corto, domani andiamo da lui».
X
È stato lui
La sposa sorride stanca, felice. I capelli che erano stati raccolti con cura, ora lasciano una ciocca sulla fronte.
Come tutti lì ha il viso ormai segnato dalla veglia e dal piacere. I sette giorni di festa per le nozze stanno terminando. Lei e i suoi familiari sono seduti a terra intorno al tappeto imbandito per la cena. Il padre di lei – un uomo paffuto che ha i suoi stessi occhi tondi un po’ infantili - è soddisfatto per come si è svolto tutto: la combinazione dell’affare un anno fa, poi il fidanzamento e ora, dopo la trattativa finale, la festa.
La primavera sta sorridendo. I terreni intorno a Cana sono verdi e ben coltivati. Le montagne della Galilea stanno sotto il sole come bestie quiete. I pendii sono macchiati di verde. Marzo, un buon mese per sposarsi.
Lei ricorda l’arrivo al luogo delle nozze come un sogno. Eppure sono passati solo pochi giorni. Il cibo, i canti, il vino hanno ormai allentato le immagini, i ricordi... Il suo giovane sposo ride accanto, scherza con alcuni suoi cugini e fratelli, reclinato sul tappeto, prendendo frutta dai vasi.
Si era recata vestita con eleganza e con il capo velato fino alla casa del padre dello sposo, e lì aveva aspettato il fidanzato con il viso e i capelli coperti. Le amiche le avevano adornato il vestito, avevano ascoltato i suoi lamenti rituali al momento di abbandonare la casa della sua famiglia.
«Il mio cuore piange...»
In casa del padre dello sposo aveva aspettato il termine delle trattative tra i due uomini nella stanza accanto. E al calare della prima sera c’è stato il momento decisivo: ricorda le mani del suo fidanzato sciogliere la cintura e finalmente alzarle il velo dal viso. Tremavano? questo ora non lo ricorda... benedetto vino speziato... Lui l’ha acquistata per sempre. Il padre dello sposo, un uomo grinzoso e magro, con gli occhi nerissimi e inquieti, aveva pronunciato con le labbra semichiuse le sette benedizioni di fecondità su di lei.
Mentre ricorda queste cose lei guarda mollemente i suoi invitati, sono venuti anche da paesi vicini, da Natzareth e da Cafarnao. Hanno le facce rammollite dal vino, dal ridere, stanche e beate. Un tizio che dev’essere un mercante amico di suo padre ha la testa crollata sul petto, il respiro grosso, i capelli grigi spettinati.
Sembra che da un momento all’altro possa cadere con la faccia in mezzo a piatti e ciotole.
C’è pure quel Gesù. Viene da Natzareth, la madre è parente lontana dello sposo. In paese si mormora sia un tipo speciale, un maestro, e infatti ha portato con sé oltre alla madre anche alcuni suoi discepoli. Sono stati gentili, pensa la giovane. Li ha visti spesso parlottare tra loro. Lui non si è lasciato andare a bere e a mangiare molto. Anzi, un po’ di volte si è alzato, usciva a parlare con uno o l’altro dei ragazzi che stanno con lui.
Il sole ha smesso di scaldare. Stanno calando le prime ombre e i servi del padre dello sposo stanno accendendo le torce.
Lo sposo che le hanno scelto è un ragazzo magro e inquieto come il padre, ma ha lo sguardo intelligente.
La prima notte di festa, prima di ufficializzare l’acquisto, lei si era concessa a lui. Dolore e piacere, bruciore e miele. Poi al mattino lui aveva esposto le bianche lenzuola macchiate. C’erano stati sorrisi, scherzi. E la festa era iniziata tra i canti, i visi scuri di alcune donne, gli occhi accesi dei giovani uomini, le bevute. Lei si era alzata con un dolore strano alla fine della pancia e uno spazio nuovo nella mente.
La ragazza pensa: “Ora sono una donna, ora la vita sarà dura. Ma ho una casa, uno sposo”. Sono pensieri spine, pensieri nuvola.
Poi vede uno degli amici di suo marito che resta con il braccio a mezz’aria, il bicchiere in mano. E allo sposo: «Non c’è più vino, e i nostri brindisi come li facciamo?». Quasi tutti i presenti, ebbri ed eccitati ormai da giorni, lo ascoltano distrattamente e ridacchiano. Ma quello, un tipo che non le è mai andato a genio, continua, rivolto allo sposo: «Che festa è, se restiamo senza vino proprio ora?»
La ragazza vede passare sul volto del suo uomo un’ombra. Gli altri invitati hanno abbassato il tono delle loro chiacchiere e cominciano a guardare nella loro direzione.
Lo sposo lancia un’occhiata al padre. Quello con l’ira rappresa come un artiglio sul viso si alza e sparisce nelle stanze dei cuochi e del maestro della cerimonia.
Un altro amico dello sposo, un giovane dagli occhi gentili come una donna, capisce l’imbarazzo e allunga una coppa a quello che s’era lamentato. «Ecco, qui ce n’è, beone!... Brinda alla sposa e ai suoi numerosi figli maschi.» Ma ormai qualcosa si è rotto nell’atmosfera, anche se qualcuno ride e alza il calice. Lo sposo guarda nervoso verso la porta dove è sparito suo padre.
Maria tocca il braccio di Gesù, che osserva la scena con stelle lontanissime negli occhi. «Hanno finito il vino» gli dice.
E lui, che ha ancora i giorni di deserto addosso e sta ripensando alle visioni del demonio tentatore che venne a fargli visita, per un attimo risponde brusco a sua madre, come se temesse di risentire ancora la voce di quell’essere di sabbia e vento che gli ha offerto potere e gloria.
«Cosa vuoi da me, donna?» Maria abbassa gli occhi. Conosce e non conosce questo figlio diventato uomo.
I suoi capelli più lunghi, il naso forte, la fronte che si corruga... Non è più il suo ragazzo. Sa che ha il deserto addosso, lei non sa nulla di quanto è accaduto laggiù. Non le ha raccontato niente, ma ha visto che è tornato stremato.
E forse a queste nozze vuole stare tranquillo. Ma ora lui la guarda, e lei rialza gli occhi. Gesù le sorride, non dice nulla. Chi se non lei, la donna del sì, può comprendere la preghiera alzata tra le rocce come un grido di uccello. E le sorride, bocca che porta il silenzio delle nubi.
Si alza e, mentre i discepoli lo guardano chiedendosi che succede, si infila nella porta che dà sulle cucine.
Appena passa la pesante tenda di pelle di pecora, e si affaccia alla cucina in disordine, con pentolame e piatti ovunque, sente le voci, la discussione. Il padre dello sposo in un angolo sta gridando trattenendosi a stento con il maestro di cerimonia. Gesù, senza interromperli, chiama due ragazzetti che sono lì a servizio e fa cenno di avvicinarsi con due otri usati per l’acqua delle abluzioni prima dei pasti. Quelli lo seguono, dopo aver dato un’occhiata ai due che discutono. Sono ragazzetti svegli. Gesù dice: «Andate al pozzo, riempitele di acqua e portatemele».
Quelli corrono e dopo pochi attimi sono di nuovo lì. Il maestro di cerimonie con la faccia bassa di pelle olivastra sta facendo una serie di inchini imbarazzati davanti all’uomo magro e adirato. Gesù tocca le due giare. Poi dice ai ragazzini: «Servitele in tavola e poi fate lo stesso con tutte quelle che trovate». Quelli rapidi escono dalla tenda di pelle di capra, Gesù li segue. Il padre e il maestro di cerimonia, presi nel loro duetto di offese e scuse, non hanno fatto caso a che combinava quell’uomo.
Poco dopo si odono venire dalla tavola esclamazioni di complimenti. L’amico dello sposo, che aveva irriso poco prima alla mancanza del vino, sta bevendo avidamente dalla sua coppa. Il vino gli cola sulla barba. E dice: «Grande vino! Evviva lo sposo!». Il padre e il maestro di cerimonia interrompono il loro litigio. E quando escono nella sala della festa vedono che tutti bevono e sorridono. Il padre afferra una coppa dalle mani di uno dei suoi figli e beve. Il maestro di cerimonia si fa porgere l’otre da uno dei ragazzetti di servizio e se ne versa. Resta un attimo in silenzio. Si sente osservato e non sa cosa dire. Poi si dirige verso lo sposo e, esibendo le sue migliori moine di ruffianeria, lo indica al padre e agli invitati: «Che meraviglioso ospite! A differenza di tutti, mi ha chiesto di servire il vino migliore alla fine! Non come tutti che alla fine delle feste, quando gli ospiti sono brilli, danno il vino più scarso». Il padre lo guarda come dire: non mi freghi...
Gesù coi suoi discepoli è giù uscito dalla sala. La sposa si guarda intorno un po’ smarrita, incrocia lo sguardo di Maria che sta per uscire e che le manda un sorriso enigmatico.
E la ragazza pensa, smarrita e felice: “È stato lui...”.