IX puntata – “Gesù. Un racconto sempre nuovo”

IX puntata – “Gesù. Un racconto sempre nuovo”

XVII
L’emorroissa, la figlia di Giairo

Anche i bambini vengono a curiosare, spesso Gesù scherza con loro, anche se fanno chiasso e sono molesti. Ma se qualcuno tra i discepoli prova ad allontanarli, Gesù lo ferma. Lascia che i ragazzetti gli girino intorno. Anche nei giorni in cui è più stanco e silenzioso, come questo, non allontana nessuno, neanche i più piccoli che camminano verso di lui mentre le madri distratte accompagnano vecchi padri storpi, o sostengono i figli più grandi ciechi. Ogni volta che entrano in villaggi come questo si precipitano in tanti. Anche ora la calca
s’è fatta asfissiante. Sole alto.
Un uomo si è gettato ai suoi piedi mentre poco fa sostavano all’ombra e Gesù parlava alla gente. Subito si era fatto silenzio perché l’uomo è uno dei capi della sinagoga. È temuto e rispettato. Si chiama Giairo. Nessuno lo aveva mai visto così prostrato.
«Signore,» ha detto senza alzare la fronte «mia figlia è molto ammalata, sta per morire, vieni da lei».
Gesù si è alzato subito, e si sono incamminati. La folla si è messa a seguirli, li circonda.
Pietro guarda Gesù silenzioso, strattonato, toccato, chiamato. Lui resta silenzioso, offre la mano, accenna un sorriso, bisbiglia qualcosa mentre accarezza la fronte di qualcuno di questi malati.
Il caldo è asfissiante. Dovrebbero cercare una casa, qualcuno che offra a Gesù una stanza, un pasto. I discepoli che erano andati avanti a cercare ospitalità non sono tornati, non hanno trovato, stanno ancora cercando.
Con il caldo la pressione della folla si fa insopportabile. Gesù cammina dietro Giairo, ha i capelli appiccicati alla fronte per il sudore. Il suo sguardo ha deviazioni di diamante notturno in mezzo a pupille dilatate, occhi arrossati. Ci sono momenti in cui la folla ondeggia. Alcuni ne escono di corsa, gridando parole incomprensibili. Alcuni provano a infilarsi nel mucchio per cercare di raggiungere il centro, dove Gesù cammina a rilento, attorniato da alcuni dei discepoli. Al loro passaggio in un punto stretto della strada, tra alcune casupole dove la strada si restringe tra le pareti di terra e paglia, una donna senza farsi notare si incunea in mezzo alla gente, e si protende quasi stendendosi a terra, a rischio di essere calpestata.
È tutta fasciata, avvolta in un panno nero, sudicio. La sua mano si fa largo tra le schiene pressate, il suo
volto velato come una morta tra le braccia, i gomiti, i lembi di vesti, certe bisacce unte, le stampelle.
Gesù si sta facendo strada faticosamente, la casa di Giairo non è distante e l’uomo ha fretta di arrivare.
Spintonano, c’è chi protesta, chi vorrebbe parlargli, chi chiama il suo nome mentre viene respinto indietro dalla calca.
Poi, appena passata quella strettoia tra le case, Gesù si ferma di colpo.
I discepoli si bloccano anch’essi, la folla ondeggia. «Chi mi ha toccato?» chiede.
Pietro lo guarda in modo interrogativo. Sono ore che la gente si accalca per una sua occhiata, una carezza, uno sfioramento. Non sa cosa dire, fa un sorriso e si guarda intorno. Anche Filippo e Tommaso, tutti
sudati, sorridono un po’ smarriti.
«L’emorroissa...» bisbiglia qualcuno all’orecchio di Andrea.
E, dal groviglio di gambe e corpi poco dietro di loro, emerge la donna tutta coperta di vesti nere, fasciata e sudicia. Emerge come un animale antico, con un mugolio rovinoso, il viso e la testa coperti dal telo nero orrido. Risale dalla polvere mentre alcuni si scansano il poco che è possibile da lei, che alza e rotea lentamente il busto verso Gesù, mentre inizia ad aprirsi le vesti con le mani magre, macchiate di terra e sangue. Il suo
corpo emana un fetore greve. Odore di sangue morto.
Molti ora sono voltati verso di lei. Chi è indietro e ancora deve passare la strettoia spinge, si alza sulle
punte, cerca di capire perché si sono fermati.
«Sono stata io... Sono diciotto anni...» dice la donna ridendo e piangendo quasi impercettibilmente, in
un tremito solo. Con un movimento lentissimo ora tira, strappa le fasce dalle braccia, dal petto. «Diciotto anni
che perdo sangue... sempre debole, immonda...» Mostra la carne bianchiccia, chiazzata di macchie cupe, le grinze sotto il collo, le spalle di solitudine e il seno magro e appassito fasciato da un telo sporco. In questo
punto della folla si è fatto silenzio, si è aperta una rosa di stupore muto. «I medici mi hanno fatto di tutto, ma
nessuno mi ha mai guarita... Mi dicevo... se solo tocco il suo mantello, io... già sento le forze tornare, e io...»
Il viso ora liberato dalla fasciatura si mostra pallidissimo e magro, i capelli le vanno ai lati come serpi, gli
occhi in quella magrezza stanno diventando immensi.
Gesù fa un passo verso di lei, le prende una mano. Lei la lascia timida nelle sue: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace». La donna se ne va, una amica o forse una parente bassa e grossa la abbraccia, la copre, ride, fanno una loro piccola festa di grida sommesse, e cercano di uscire dalla folla. Andrea le guarda. Il volto di Gesù si abbassa, sembra esausto.
In quel momento dalla via davanti a loro arriva di corsa un uomo, con un portamento deciso, severo.
È il servo di Giairo: «Tua figlia è morta, mio signore». E guardando Gesù: «Ora è tutto inutile, non vale più la pena disturbare il maestro...».
Giairo si mette le mani sulla faccia. Vorrebbe gridare. Ma Gesù prendendogli un braccio, gli dice: «Non
piangere, andiamo». Poi rivolto a Pietro, a Giacomo e a Andrea: «Venite con me solo voi». Giairo tenuto per il braccio da Gesù riprende a camminare, con il viso che scoppia di pianto. Mentre Filippo e gli altri tengono
indietro la folla, Gesù e i tre discepoli con Giairo e il suo servo si dirigono verso la casa.
Nel cortile ci sono donne che fanno strepito. Pianti e urla sotto alcune piante polverose. Il rito che riempie di voci il vuoto insopportabile. La morte con il suo volto senza espressione è già passata di lì con il suo passo lento, togliendo le parole normali dalle labbra. Si vedono ragazzini con gli occhi arrossati, muti nel loro dolore
aspro e stranito. Il drappello con il Nazareno entra, le persone stipate si ritraggono per far passare il padre.
Gesù sulla soglia di casa si ferma e si volta: «Perché questo chiasso e questi pianti? La bambina non è morta, ma dorme». Qualcuno gli biascica un’offesa, altri fanno una smorfia amara. Entrano. Pietro si sente osservato, il posto non gli piace.
Nella penombra sta un gruppo di donne, che ora ammutolisce. Al centro tra due che la reggono sta la madre,
come ubriaca. Gesù chiede a Giairo di entrare portando solo lei. L’uomo le prende la mano, lei quasi assente lo segue, come se vedesse solo ombre. Ora sono nella stanza, i discepoli come ragazzi fuori posto tacciono. La madre non riesce a trattenere i singhiozzi. Giairo ha mille secoli.
La ragazzina ha forse dodici anni. Ha il volto serio, le hanno appena messo un velo sul capo e acceso un
mazzetto di erbe nere che brucia in un angolo rilasciando un profumo dolciastro.
Qualcuno l’ha pettinata, ma si vede che le donne ancora non sono riuscite a metterla in ordine del tutto.
Una ciocca le arriva di lato sulle labbra socchiuse. “Se dormisse,” pensa tra sé Giacomo, “si vedrebbero i capelli muoversi per il respiro...”
Gesù si avvicina e le prende la mano inerte.
Nessuno dei presenti capisce cosa voglia fare.
Si china poco su di lei: «Talità kum».
Giacomo pensa: “Le ha detto alzati? Le ha detto così?”.
Ma non finisce nemmeno il pensiero. Lei ha aperto gli occhi nella penombra e si è alzata a sedere sul letto.
I capelli le si sono sciolti sulle spalle. Il velo è scivolato giù dal viso pallido. La madre con un grido le è addosso, Giairo cade in ginocchio e da lì cerca nell’aria la mano di Gesù per baciarla. Pietro fissa il Nazareno che ha gli zigomi induriti e gli occhi chiusi, poi li riapre, per un attimo i loro sguardi si incrociano. In quello di Gesù è come se si fosse voltato il cielo.
«Datele qualcosa da mangiare» dice il Nazareno a quelli che ora si sono affacciati sulla soglia e non sanno cosa dire. Poi esce, e i suoi amici dietro, rompendo la folla.

XVIII
I pensieri camminando, lo scontro. Naim

Un piccolo gruppo di persone li segue nei tragitti più lunghi, alcuni si tengono a distanza. Gesù è silenzioso, sembra lui stesso pensoso su quello che è appena successo a casa di Giairo. Come se antivedesse qualcosa...
I discepoli non parlano. Giacomo pensa alla ragazzina, a che cosa racconterà quando sarà grande, a cosa penserà quando saranno passati tutti i suoi anni, se si ricorderà di questo Nazareno...
La polvere della strada si solleva per un lieve vento che viene dal lago. Là ci dev’essere tempesta. Simone detto Pietro pensa a quanto accaduto pochi giorni fa: l’incrocio dei venti si era abbattuto sul lago di Tiberiade. Il cielo era bianco, come lui ama, e poi s’era formato quel maledetto incrocio dei neri cavalieri dell’aria, i temuti venti improvvisi, e grandi nuvole, strappi di buio, lampi che vengono come spettri dai deserti lontani e dalle valli su a nord. Il cielo di Tiberiade sa infuriarsi rapidamente. I pescatori lo sanno. Ma Pietro con i compagni volevano portare Gesù sull’altra riva per sfuggire alle folle. Lui, stremato, appena salito si era subito addormentato sulla barca. Presto le onde salirono e presero a battere e scavalcavano il bordo dello scafo.
L’odore del legno bagnato e della pioggia riempiva le narici e il cervello. La barca aveva iniziato a prendere acqua. Con quelle nubi non era stato saggio prendere il largo, i pescatori come loro lo sapevano bene, ma la sera scendeva veloce e troppo era il desiderio di risparmiare a Gesù altre folle, altri assedi.
Ma quando la bufera e le grida dei discepoli lo svegliarono, Simone detto Pietro ricorda bene con quale faccia li guardò Gesù. «Di cosa avete paura...» disse solamente. Poi si era alzato e sporgendosi dallo scafo tenendosi alle corde delle vele che sbattevano aveva gridato parole nel vento. Si erano perse dentro il fragore delle onde. Le onde gli avevano bagnato il volto e la tunica. Si buttò poi a sedere passandosi un panno sulla testa e sulla faccia. Sembrava quasi ridere seduto sui cordami con la testa posata sul legno dello scafo, coi capelli e la barba bagnati. Nessuno aveva udito bene, ma sembrava proprio che avesse gridato contro il vento.
E il cielo che soffiava nelle onde si placò. Fu come il respiro nel corpo di un toro che rallenta. Il frenarsi di fiati in una mandria. Come se deviasse altrove la galoppata di nubi. Il frastuono si attenuò. Si volse a gridare altrove, di là dalle colline. La superficie del lago divenne di nuovo quieta. Il vento cadde, lasciando solo una brezza.
I discepoli non dissero nulla. Restavano in piedi sulla barca come storditi. Pietro lanciò una corda ad Andrea, facendogli capire che non c’era niente da dire, c’era solo da rimettersi a navigare.
Ormai è chiaro, al potere di Gesù rispondono i demoni, gli elementi del cielo, e le malattie degli uomini.
Un potere immenso. Che fa paura. Lui rimaneva seduto contro il bordo asciugandosi i capelli, con un sorriso
di ragazzo.
Fin dove vuole arrivare? I suoi inviti alla conversione sono ascoltati ma il popolo sembra più interessato ai suoi prodigi. In pochi decidono davvero di cambiare vita e seguirlo o di confrontarsi davvero con i suoi ammaestramenti. Molti sono scandalizzati. I farisei e gli scribi lo hanno accusato di essere un figlio del demonio. Quella volpe di Erode lo tiene d’occhio, si dice che vorrebbe incontrarlo. Ogni tanto i discepoli passando nei villaggi vedono facce che hanno l’aria di essere emissari del re, occhi bassi, apparentemente indifferenti. Per ora non hanno preso l’iniziativa. Vogliono capire. Si informano. Ormai il livello delle accuse nei suoi confronti è cambiato, sale di tono. Non si tratta più di screditarlo facilmente come impostore o ciarlatano.
In troppi stanno testimoniando dei suoi segni. I suoi nemici non stanno più chiusi nei loro palazzi a parlar
male di lui. I farisei hanno preso a seguirlo. Gli scribi si mescolano alla folla per interrogarlo, coglierlo in fallo.
Si sta avvicinando il corpo a corpo.
La discussione quel giorno a Cafarnao era stata feroce. Aveva guarito un disgraziato cieco e muto, un indemoniato preda di convulsioni che mugolava in modo immondo e spaventava i passanti. Poi erano entrati in una casa che aveva accettato di ospitarli.
Un manipolo di farisei e di sacerdoti li aveva raggiunti e in mezzo alla folla aveva assistito. Poi si erano messi a mormorare. «Compie queste cose in nome del principe dei demoni...» dicevano con occhiate buie tra
loro, a voce bassa ma non tanto da non farsi sentire dalle persone lì assiepate.
Gesù aveva udito il veleno che colava dai loro cuori. E aveva detto: «Ma se io scaccio i demoni in nome di
Belzebul significa che il diavolo è diviso in sé».
La frase era rimasta come una sciabolata a mezz’aria.
Poi Gesù aveva ripreso lentamente: «E allora i vostri discepoli in nome di chi li cacciano? Saranno loro i vostri giudici. Ma se io li scaccio in nome dello spirito di Dio, allora vuol dire che è arrivato tra voi il Regno di Dio. Perciò vi dico: ogni peccato sarà perdonato, ma non quello contro lo Spirito di Dio. E anche a chi parlerà male di me, figlio dell’uomo, sarà perdonato. Ma non a chi mormorerà o bestemmierà contro lo Spirito».
L’aria si era fatta tesa. La casa scoppiava di gente. La sfida lanciata al massimo livello. La gente osservava i farisei e gli scribi, come avrebbero reagito. Ma quelli se ne rimasero nei loro mantelli neri, seduti. Gesù sembrava un’aquila nella tempesta. Li fissava: «Se prendete un albero buono, i suoi frutti saranno buoni. Ma cosa può dare un albero cattivo? Voi, razza di vipere, come potete dire cose buone? Di ogni cosa infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio. In base alle tue parole sarai condannato o giustificato».
Quelli non si erano scomposti. Ma le mani di due di loro tormentavano nervosamente il bordo dei mantelli.
Uno di loro, con voce ossequiosa chiese allora: «Maestro, tu dici che il Regno di Dio è tra noi, che tu lo porti.
Bene, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». E si rivolse ai suoi compagni che annuivano e facevano gesti di compiacimento. La folla stava muta, col fiato sospe-so. Giacomo toccò il braccio di Pietro. Anche Andrea si avvicinò a Filippo.
Gesù si guardò intorno. Nei suoi occhi Giacomo vide venire la notte divorante di stelle. Poi alzò la voce
come accadeva di rado. «Una generazione perversa e traditrice pretende un segno! Ma non le sarà dato nessun segno, se non quello di Giona. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del grande pesce così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra! I peccatori di Ninive si alzeranno
dalle tombe a giudicare questa generazione e la condanneranno! Loro si convertirono alla predicazione di Giona. E qui, qui c’è più di Giona! La regina di Saba si alzerà a giudicare questa generazione. E la condannerà!
Perché lei venne da lontano per ascoltare la sapienza di Salomone. E qui, c’è ben più di Salomone!»
Anche ora mentre camminano Pietro risente che silenzio si era creato allora. Nessuno fiatava. Le fronti di molti erano aggrottate come di chi cerca di comprendere se davvero ha capito bene. Erano parole enormi.
Giacomo aveva sentito il suo cuore saltare e fare capriole come una capra.
In quel momento era entrato nella stanza uno dei discepoli. E interrompendo qualcosa che non aveva udito poiché stava fuori a regolare l’afflusso della folla, disse rivolto a Gesù: «Qui fuori ci sono tua madre e altri della tua famiglia, vorrebbero parlarti». Ma lui era teso e ardente. Parlò e a Pietro parve che quelle parole venissero da una grande solitudine e da una grande decisione: «Chi è mia madre? Chi la mia famiglia?». Poi aveva steso il braccio indicando i presenti: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi compie la volontà del Padre mio che è nei cieli è per me fratello, sorella, madre». Poi la sua voce cadde. Il suo volto si fece duro.
Fece solo un cenno ai suoi discepoli e se ne uscirono. Sua madre lo guardò passare. Si guardarono negli occhi per un tempo che sembrò infinito. Lei non sorrise ma lo guardò con apprensione, a lungo. Lui ricambiò socchiudendo gli occhi. Anche lei uscì per unirsi al seguito.
Mentre proseguono nel cammino, sotto il sole che picchia, Andrea si avvicina a Pietro che cammina avvolto in questi pensieri e ricordi.
«Deve averci pensato bene.»
«Cosa intendi?» dice Pietro.
«Non so», risponde Andrea. «Ma hai sentito anche tu che ora vuole mandarci in giro a predicare.»
«Ma chi di noi ne è capace?» dice Pietro al fratello. «E i miracoli che la gente si aspetta da lui, come faremo?»
Giuda l’uomo di Keriot, che sta camminando poco dietro i due, si avvicina e allunga la testa tra le loro spalle: «Il momento è propizio. In tanti vogliono ricevere il suo messaggio. E mettersi in moto. È giusto darci da fare anche noi in giro. Lui non può arrivare ovunque».
«E i segni, i miracoli?» dice Andrea a chi si è intromesso. «Come farai tu a far alzare il ragazzino morto
che abbiamo incontrato a Naim...»
Giuda come una tartaruga che rientra nel guscio ritira la testa. Gli uomini restano in silenzio, nelle loro menti rivedono i tanti prodigi di questi mesi. Fino ai più recenti, sempre più chiari e sempre più oscuri.
Il caldo di agosto toglie il respiro mentre camminano. Non parlano. Animali muti nell’aria afosa.
Andrea rivede il corteo che avevano incontrato poche settimane fa lungo le mura di Naim. Un funerale
povero, disperato. Quando la desolazione passa la sua mano rugosa sui volti della povera gente qui non c’è nulla da fare, solo piangere e battere le pietre nel silenzio. E sperare di confondersi col niente. La madre del ragazzino era una vedova. E ora quest’altro dolore più cane mordeva sul suo petto già magro di pianti.
Gesù con i suoi discepoli era arrivato come un manipolo di figure controsole. Nessuno in quel posto desolato badava al loro passaggio. Di rabbì che giravano se ne vedevano talora anche da quelle parti. Questo era un rabbì strano, non girava con i consueti cinque discepoli, come tutti gli altri. Erano di più. Il tristissimo
corteo funebre non era interessato però al passaggio, finché non furono loro ad avvicinarsi.
Il corteo era formato da una piccola folla di donne piangenti intorno alla lettiga, molti uomini e ragazzi dietro di loro.
Uno dei discepoli, quando Gesù lo chiese, fece segno al corteo di sostare. Le donne piangenti obbedirono, intimorite dal gruppo di uomini giovani che si era avvicinato. Poi si fece largo Gesù e chiese chi fosse la
madre.
Il ragazzo giaceva sulla barella avvolto nel sudario. Si mosse la figura di una donna nascosta in un velo nero.
Andrea ricorda che qualcuno del corteo, forse uno degli anziani, mormorò qualcosa, stizzito.
La donna fece qualche passo, lenta, verso Gesù. Tenne il velo sugli occhi. E lui fissando quella donna priva di volto, chiusa in un dolore senza scampo disse: «Donna, non piangere». Andrea guardò il suo maestro. Aveva negli occhi la dolcezza della neve dell’Hermon. Una luce nuda di dolore e di gioia.
Lei rimase muta, come una che non capisce, col capo leggermente piegato da un lato, come se non riuscisse a sostenerlo. Aveva sentito? Tutti i presenti lo guardarono. Così si guarda un folle. Poteva lei smettere di piangere?
Ma lui fece dei gesti calmi, come di uno che pieghi le coperte al risveglio, una mattina di festa. Come uno che sistema le cose. Fece abbassare la lettiga con il ragazzo morto. E aprì le bende che coprivano il viso. Si chinò a baciare lievemente la fronte del ragazzo. Poteva essere suo figlio. Poteva essere lui al posto del padre. E dopo lo prese per mano e il ragazzo si sollevò sulla lettiga con il viso di un capretto ritornato dalle fessure delle rocce. Alcune donne caddero in ginocchio, gli anziani e gli uomini afferrarono le braccia dei discepoli e chiedevano. La madre allora alzò il velo dal viso e con occhi neri, tormentosi e felici si avventò sul figlio e guardò Gesù. E sembrò ritornare da qualcosa di peggio della morte. Poi tenendo stretto il suo ragazzo tra le braccia, alzò come una pantera la testa verso quell’uomo strano. E si dissero qualcosa che nessuno poté sentire.
Poi avevano ripreso il cammino.
Come sempre, ancora camminare.
Come ora che lo strano gruppo va sotto l’urlo sterminato del sole.

XIX
Il pezzetto di pesce

«Saranno in cinquemila!»
La voce di Filippo è dura, ferma.
«Almeno. Senza contare donne e bambini» aggiunge quasi parlando tra sé Taddeo. Il suo profilo è tagliato da colpi veloci. Gli occhi mobilissimi, piccoli.
La giornata è stata faticosa. Le folle hanno seguito Gesù senza lasciarlo un istante. Inutilmente lui si era
ritirato su questa collina insieme ai suoi. Lo hanno trovato anche lì. E ora i discepoli guardano la gente dalle pendici erbose giù nella distesa verde e grigia macchiata di pietre bianche. Camminano a gruppi, a coppie e
alcuni da soli, facendosi forza con un bastone.
Lo avevano inseguito lungo le sponde del lago, lo avevano ascoltato parlare, cercano le sue guarigioni.
Cercano di stare dove sta lui. E ora anche se le tenebre stanno per scendere e in quel luogo non c’è nulla per
accamparsi la grande folla resta lì. Un animale muto.
Gesù ha detto a Filippo di cercare del pane. Ma l’apostolo lo ha guardato e ha allargato le braccia. «Non basterebbero duecento denari...» Giuda di Keriot scuote la testa.
Gesù dice: «Fateli sedere tutti».
Gli apostoli e i loro aiutanti scendono e cominciano a girare e dicono agli uomini e alle donne di sedersi, di
avere pazienza. Una che li ha seguiti coi bambini grida: «E ora cosa daremo da mangiare ai nostri figli?» subito
zittita dal marito.
Altri frugano in grandi sacchi, tirano fuori bisacce d’acqua. Qualcuno spartisce un tozzo di formaggio che
svanisce subito tra le mani e le bocche.
La sera sta colorando le pietre e l’erba di grigio azzurro. L’aria si raffredda. Le persone si siedono a gruppi, si spargono. Hanno camminato, tacciono.
Solo qualche raro schiamazzo di bambini.
Una lucertola si infila in una crepa del terreno mentre due piccoli la inseguono.
Andrea risale rapido la china dell’altura su cui Gesù si è fermato.
Parla tirando il fiato.
«C’è un ragazzetto qui, ha cinque pani e due pesci.» Giacomo si volta e sorride sconsolato.
Viene dato il segno di farlo avanzare. È un ragazzino magro, con due grandi occhi nocciola. Avrà dieci anni. Quando lo si fa avvicinare a Gesù, guarda tutti concentrato. Non dice niente. Le donne del seguito gli
sorridono, una gli passa la mano sui capelli. Tiene il suo cesto stretto, come se avesse paura che qualcuno glielo porti via.
Gesù si fa dire il suo nome. «Klemi», risponde quello, rapido. «Posso avere i tuoi pesci e il pane?» Il ragazzetto dopo un istante di indecisione allenta le braccia. Fa solo «sì» con la testa, e i suoi grandi occhi si illuminano. Ha il corpo magro, dev’essere uno svelto. La madre quando lo ha lasciato andare coi due discepoli
ha detto solo: «Fai quello che ti diranno».
Gesù prende il cesto dalle sue mani. E dice di sedersi anche lui lì, con i dodici. Lui si guarda intorno un po’ indeciso. Ma Pietro gli mette una mano sulla spalla. «Stai pure» dice.
Filippo e Taddeo hanno messo i cinque pani e i due pesci su un panno sopra una pietra. Gesù stende le
mani su quella mensa improvvisata sotto le prime stelle. Mormora a occhi socchiusi una benedizione antica.
Il ragazzino gli guarda la bocca.
Gesù finita la benedizione gli dà un’occhiata di intesa e sorride.
Poi si fa dare due ceste da Taddeo. In una mette i pesci e nell’altra i pani e li copre con due pezzi di stoffa.
Ad Andrea dice: «Iniziate a distribuire».
Andrea guarda Gesù, poi si volta verso Pietro e verso Giacomo. I loro sguardi sono immobili. Se a tutta questa gente che si è radunata non daranno qualcosa da mangiare, ci saranno proteste. C’è chi li accuserà di
fomentare disordini. Di essere dei rivoluzionari da quattro soldi. Il palazzo di Erode non è lontano dalla zona.
Oppure faranno la figura degli idioti. Gente da evitare.
Nello sguardo del ragazzino si rompe qualcosa di curioso. E anche Andrea sembra quasi sorridere. Non si capisce se è un sorriso folle o di naufrago. Oramai Gesù li ha abituati a segni strani. A volte sono dovuti scappare, li hanno inseguiti, o si sono dovuti nascondere in case di amici fidati. Altre volte invece sono stati trattati come dei principi, onori e salamelecchi. Taddeo con il suo volto di capra magra mastica un filo d’erba, è curioso di vedere questa volta come andrà a finire. Gesù, intanto, si è appartato, più in alto sulla china della collina, insieme a Pietro e Giacomo. Guarda per un istante alla pianura sottostante, tutta quella gente. Li guarda con una specie di pianto negli occhi. Giacomo vorrebbe chiedergli qualcosa. Ma si trattiene, e poi scende, di
corsa, raggiunge Andrea che si è avviato con la cesta.
La mano trova sempre pesce, sempre pane.
Camminando tra la folla Andrea con gli occhi che ridono sta trovando sempre pesce. E Taddeo sempre pane.
A Giacomo che li raggiunge dicono: «Porta altre ceste!».
E i discepoli, come ragazzi che corrono per un gioco o una festa, iniziano a passarsi le ceste da cui esce pane, pesce, ancora pane, ancora pesce. Gesù in alto si è messo a sedere vicino al ragazzino. Le persone si accalcano dove qualcuno dei discepoli distribuisce. A chi chiede: «Ma da dove viene tutto questo cibo?» dicono con un sorriso: «È stato Gesù, ha moltiplicato i pesci e il pane». Anche Giuda di Keriot gira tra la folla, entusiasta: «È stato Gesù! È stato Gesù!». Alcune donne anziane cercano di baciare le mani dei discepoli.
In un paio d’ore la distribuzione è terminata. Come un vento. Adesso quasi tutta la folla siede. Solo qualche bizzarra figura di vecchio stralunato gira tra i gruppi a cianciare, raccattare pezzi di cibo o a recitar stranezze.
O vaga qualche donna sola. Si sentono alcune risate. Nella penombra della sera tutte quelle persone mangiano, alcuni stremati già dormono buttati su dei sacchi, si sentono dialetti di ogni regione. Poi si fa più basso il
vociare, sono curvi. Le grandi nuvole chiare di poche ore fa sono state incendiate dal sole. Ora d’un azzurro cupo e grigie si sono perse nel primo buio. Le stelle stanno stendendo il loro dominio. Grigia la terra, l’erba, le mani.
Mentre la folla mangia e i bambini si mettono a giocare, alcuni uomini si trovano a parlottare tra loro.
«È lui» dice uno con la barba bianca e senza più capelli. «Sì, è di uno così che c’è bisogno» aggiunge un tizio che sta ancora mordendo un pezzo di pesce. «Gliela farebbe vedere!» mormora il più giovane del gruppo, uno coi capelli quasi ricci, olivastro di carnagione. Altri uomini si aggregano, e dopo aver scambiato qualche
parola, volgono in direzione della collina.
Sono quasi una trentina, e camminano verso la zona alta. Ma Gesù vedendoli arrivare tocca il braccio di
Pietro. «Me ne vado, lasciatemi solo.»
Pietro fissa lo sguardo di Gesù. Il suo amico e maestro è attraversato da inquietudini, da decisioni del cuore. Non c’è bisogno di rispondere. Basta il cenno di intesa, come dire: vai pure, non ti preoccupare, a questi
ci pensiamo noi.
«Dov’è il rabbì?» chiede poco dopo quasi con durezza l’uomo dalla barba bianca.
Pietro e Giacomo fanno segno alla delegazione di sedersi. Ma quelli restano in piedi. L’uomo insiste: «Vogliamo parlare con lui».
Alcuni dei discepoli sono tornati dalla distribuzione. Lasciano i cesti a terra, e ne prendono degli avanzi. Giuda di Keriot osserva la scena mordendo un pane. Bartolomeo invece non sembra interessato, sta togliendosi la polvere di dosso.
«Se ne è andato» dice Giacomo.
«Ma come? Dove è andato?» esordisce il più giovane di quella delegazione.
«Noi lo vogliamo come capo e unirci a lui» aggiunge agitando la mano uno da dietro le sue spalle.
Giacomo sostiene gli sguardi degli altri della delegazione. Lo stanno studiando.
Pietro li guarda con viso fermo. «Non c’è, se n’è andato.»
Quelli lo fissano per un po’, gettano occhiate agli altri del gruppo, alle donne poco distanti. Aggrottano la fronte, sospettosi. Poi senza salutare tornano giù, verso la spianata dove la gente sta indaffarandosi tra teli e bivacchi. Solo uno di loro, il ragazzo dai capelli ricci afferra Taddeo per un braccio: «Mi fermo qui, voglio
rivedere il Nazareno, e unirmi a voi».
Gesù sta camminando più in alto, procede rapido sulla collina, tra i sassi e i rami. Gli feriscono le gambe. Cerca un luogo solitario. Un pensiero si sta facendo largo, come un disastro. Un pensiero che però cresce come un’alba violenta in cielo. Quando alza gli occhi alle stelle sente le lacrime scendergli di lato sul viso.
Venendo la notte e non vedendolo tornare, i suoi discepoli, mentre la folla ormai dorme accampata all’aperto o in parte si disperde tornando verso i paesi vicini, decidono di riprendere la barca. Fare vela, raggiungere la sponda al di là del lago di Tiberiade, verso Cafarnao. Forse Gesù vedendoli partire li raggiungerà, scendendo dalle alture e dai precipizi della sua solitudine.
Pietro e Giacomo sono i più decisi. «È inutile stare qui ad aspettare. E se restiamo qui la folla non se ne va.»
«Tu pensi che questi se ne vadano?» interviene l’Iscariota.
«In ogni caso se restiamo qui creiamo un problema. L’assembramento può indurre le guardie a intervenire», dice Giacomo. Sanno che gli occhi da volpe di Erode portati in giro dalle sue spie stanno frugando nella valle.
La decisione è presa, Taddeo va avanti con altri due a preparare la barca.
Gesù da solo sull’altura guarda la folla che s’è accampata all’aperto, vicino ai fuochi. Guarda donne, bambini dormire stanchi. Uomini buttati sui sacchi. Alcuni di loro si sono assopiti tenendo un braccio sui loro piccoli
come a proteggerli dalla notte e dalla vita. Li ha sfamati, ma avranno ancora fame. E ancora, e ancora. La vita è fame. Li guarda a lungo. Il suo cuore come un puma dai monti, un fuoco che sta per accendersi per i naviganti.
Più tardi in piena notte scende di nascosto, da solo, dalla montagna e si dirige verso il lago. Il ragazzino dai grandi occhi nocciola si sveglia e lo vede. Era steso per dormire in mezzo ai suoi tre fratelli, attaccato a sua
madre.
Ma si alza e senza far rumore cammina veloce verso quella figura che ha riconosciuto, nonostante Gesù tenga un mantello tirato sul capo per coprirsi dagli sguardi e dal freddo. Corre sui sassi e tra i cespugli. Si avvicina, incrocia i passi di Gesù, che appena lo vede si ferma. Il ragazzino con gli occhi nocciola guarda l’uomo strano. Ha capito che dev’esser successo qualcosa di importante. E ora allunga un piccolo involucro di stoffa verso Gesù. Questi lo prende e ne apre le ali. È un piccolo pezzo di pesce. Gesù lo guarda, sorride e il ragazzetto, vincendo una timidezza che viene dalle stelle e dai secoli dei secoli, dice solo: «È per te, per quando avrai fame...».
Poi si volta e correndo sulle sue gambe magre e svelte ritorna verso le ombre rannicchiate dei suoi familiari.

XX
La notte, il lago

La barca è colpita dalle onde. Colpi sordi, acqua che si rompe. Regolari. Poi talvolta un controbalzo.
La notte sul lago è ventosa. I discepoli sono nervosi. Alcuni pensano che forse è stato da pazzi andar via, lasciare la folla che voleva decretare finalmente il loro successo. Svanire come sogni negli occhi di quella gente. Quando capita ancora un’occasione così? Avevano raccolto dodici ceste di pane d’orzo avanzato!
La gente li avrebbe portati in trionfo nei paesi vicini e poi giù fino a Gerusalemme. Ormai tra i seguaci di Gesù ci sono anche persone importanti, di certo più influenti di questa prima dozzina di recuperati da luoghi e da mestieri vari. Ma Gesù si era allontanato. Ancora una volta. Lo avevano capito. Non si trattava di cercare
il trionfo. Lui se ne era andato, nascosto.
Cosa sta succedendo?
«Misericordia, non sacrifici io voglio» ha detto un giorno. E un altro: «Io sono venuto a portare il fuoco.
E ancora non s’è appiccato. Come vorrei che fosse divampato...». Cosa sta immaginando Gesù? Dove vuole arrivare? E soprattutto: vuole arrivare da qualche parte o sta solo seguendo gli eventi? sta andando a vanvera? sta cambiando idea?
Il lago si agita, salgono, si rompono le onde. Mosso, ma senza furia. Il suo odore intenso d’acque, erbe e aria greve investe gli undici uomini e le donne che si ranicchiano nella barca per il freddo e per evitare le schiume delle onde. Poi anche il ritmo sbattuto si fa continuo, replicato, monotono. «Cosa è l’uomo perché Tu Dio te ne curi?» Uno dopo l’altro si addormentano. Hanno dovuto remare a lungo prima di incrociare il vento a favore. La giornata è stata lunga. Solo Pietro rimane sveglio, al timone. Per lui condurre la barca è quasi un piacere, specie di notte. E il lago grosso non lo intimorisce. Conosce quelle acque come le sue tasche. Fissa le luci lontane nel buio. Pensa che ne ha tirato su del pesce da queste acque. E pensa che all’arrivo, visto che
sbarcheranno a Cafarnao andrà a fare un salto a casa sua a vedere come va. È da un po’ che non si fa vedere.
I suoi occhi hanno divorato il lago tante volte. Ha preso ogni freddo e caldo su queste onde. L’aria gli ha mangiato la pelle. Ci sono giorni in cui qui si incrociano i venti da tutte le direzioni, e la tempesta scoppia improvvisa. È la trappola per i pescatori, la maledizione. Bisogna saper prevedere il suo arrivo. Se no è un miracolo se riesci a toccare la riva. Molti sono rimasti fregati in mezzo al lago. Tornavano corpi gonfi d’acqua, Simon Pietro come i più esperti tra gli uomini del lago sa riconoscerla da lontano. Stanotte non è la maledetta, come qualche tempo fa, quando Gesù urlò nel vento. E però il lago è grosso e la barca balla. C’è solo da tenere bene il timone. Da tendere i muscoli della schiena e delle braccia. C’è da non distrarsi e non cedere al sonno. Alla paura. Gli piace stare solo ogni tanto, anche così, in mezzo al vento. Per pensare ai fatti suoi. Di cose ne ha viste in questi mesi. Il lago buio è un ottimo compagno per ricordare, e per rivedere contro la notte
ripassare volti e situazioni, storpi che si sono rialzati, ragazzine risvegliate dalla morte. Ha guardato il Nazareno parlare con una autorità sempre più forte. Negli ultimi tempi è sembrato più pensoso. Dopo il discorso sulle beatitudini, da quando la gente lo cerca per farne un condottiero, Pietro ha visto ogni tanto il suo viso indurirsi. E nello sguardo qualcosa di lontanamente triste, malinconico.
A volte lo fissa per indovinare a cosa stia pensando. C’è un enigma in quest’uomo di Natzareth. Pietro non sa bene, forse è un tormento. Qualcosa che si sta mettendo a fuoco. Un chiarimento, forse. Un enorme, uno
spaventoso chiarimento.
La barca procede a salti tra le onde. L’altra riva è ancora lontana e il vento non cessa. I suoi compagni dormono, raggomitolati. Sono ragazzi stanchi. Da quando hanno seguito l’invito di Gesù sono diventati casi strani per la loro gente, le loro famiglie. Un rabbì che gira con dodici discepoli invece che con cinque come tutti gli altri, dodici come le tribù d’Israele, e che compie prodigi così grandi, e dice cose così strane... Questi giovani uomini cosa sono diventati nei commenti della gente? Dei privilegiati, dei matti, dei furbastri, o degli sprovveduti.
Pietro li guarda dormire nella barca che oscilla paurosamente. Le loro storie così diverse si sono tessute con i fili strani del Nazareno e sono stati condotti fino a lì, in quella barca che ora lui sta tenendo sull’acqua buia del lago. Pensano che di lui ci si può fidare. Ogni tanto il vento con l’afrore lacustre è così intenso che Pietro si
porta alla bocca la manica.
Poi d’improvviso vede qualcosa. Una specie di ombra chiara davanti, a prua. Non può essere un uccello così grande, così basso. O forse con il vento è costretto a volare sull’acqua. Ma no, cosa è...
Pietro con un calcio sveglia il fratello Andrea e quello si accosta a lui. Gli fa cenno con la testa di guardare
là, sulle onde.
«Mio Dio...» mormora il fratello.
Pietro dice piano: «Vado anch’io. Lo vado a prendere».
Andrea gli dice alzando la voce controvento: «Ma no!».
Alcuni degli altri discepoli si sono svegliati. E guardano fuori, a prua. «È Gesù...» dice Taddeo. «Sta... sta camminando sulle onde» dice Giacomo tra sé come in sogno.
Pietro ha quasi scavalcato il bordo. Sta con una gamba piegata, esposto agli spruzzi delle onde. Andrea lo trattiene. Ma quello grida: «Gesù, arrivo! Ti vengo a prendere!». Andrea gli urla allora: «Tu sei pazzo! Cosa ti prende». Ma Pietro si volta e a due centimetri dal viso gli risponde: «Non lo lascio da solo! E se cammina lui così, anch’io...». Andrea prova ancora a trattenerlo per la veste, ma gli resta tra le mani la tunica. La barca senza più timoniere ondeggia, è in balìa dei flutti. La vela non più governata sbatte nel vento. Andrea grida a Taddeo di prendere il timone.
Pietro posa il piede nell’acqua scura del lago. Guarda fisso verso Gesù. “Essere come te” pensa in un delirio. E subito, in un caos di schiume e di stoffe che si slegano cinte ai fianchi affonda, cadendo, gridando e cercando di riaggrapparsi al bordo.
«Gesù...» dice Pietro nell’acqua, mentre affonda nei pressi della barca. Andrea e Giacomo lo riprendono, lo stanno tirando su. Gli occhi di tutti sono puntati verso quel fantasma, o grande uccello del lago o forse fascio di rami e canne sulle onde. Che cosa, chi viene a loro in mezzo al vento, al buio?
Ora lo vedono bene. Il Nazareno, con il volto tranquillo, li raggiunge senza vascello. “Davvero quest’uomo può avere tutto in suo potere”, pensa Giacomo... Giunto al parapetto accetta il braccio di due di loro e
si accomoda sulla barca, tra le funi. Si passa un telo sul viso che gocciola per l’acqua soffiata dal vento. Giovanni, Taddeo, Bartolomeo lo guardano in silenzio. Il loro cuore trema. I segni sono sempre più chiari e più oscuri. Chi è quest’uomo?
Pietro tutto bagnato e confuso come un ragazzo lo guarda e gli dice solo: «Dove si va?».
E lui, guardandolo con un sorriso stanco: «Continua la tua rotta, marinaio, si va a Cafarnao».

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