Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio
Intervento tenuto ai Colloqui fiorentini 2024 “E sulla tomba di mia madre rimangano questi canti…” Mi è stato chiesto un intervento sui Canti di Castelvecchio, un’opera di Pascoli pubblicata nel 1903, lo stesso anno in cui esce anche l’Alcyone, importante opera di D’Annunzio. Sono anni, quelli, in cui nella poesia del Novecento succedono cose. Io ho almeno tre motivi per cui mi interessa Pascoli. Il primo è un motivo personale, di orgoglio personale, ed è che è romagnolo come me. Pascoli infatti è nato non lontano da dove sono nato io. Il secondo motivo è che mi sono laureato con una tesi in parte su Pascoli, grazie a un grande professore, Ezio Raimondi, che voglio ricordare. Il terzo motivo è che per chi come me scrive poesie è importante guardare alla figura, alla voce e alla poesia di Pascoli, che è un grande artista e l’arte si impara a bottega dagli artisti. Da quelli vivi – dai vent’anni ai quarant’anni, venivo tutte le settimane a Firenze da Mario Luzi o da Piero Bigongiari ed erano loro la mia bottega di poesia – e da quelli morti, come Pascoli, Montale, lo stesso Mario, che si continuano a frequentare per imparare. Perché non c’è niente da fare, cosa è la poesia lo si impara frequentando la poesia, non con la teoria. Nel pensare a cosa potessi dare come contributo personale, ho deciso di leggere insieme con voi non una poesia, bensì la prefazione ai Canti di Castelvecchio, raccolta che viene dopo Myricae, perché è una presentazione davvero stramba. L’ho letta un sacco di volte e continuo a leggerla, sia in pubblico che in privato, perché è un testo stranissimo, in cui l’autore tocca alcune cose sue e mie molto importanti. È già stato detto prima da Gilberto, e lo ringrazio per le sue parole alla fine del bell’intervento di Giovanni Maddalena, che non si studia la poesia a scuola per diventare piccoli critici letterari come vorrebbero i ministeri, e spesso anche i docenti, che non sanno cosa fare e quindi vogliono che un sedicenne diventi un mini critico letterario. Cosa che non ha alcun senso, tra le tante cose che non hanno senso nella scuola italiana, compreso l’esame di maturità, l’esame “terrificante” che promuove il 98% dei partecipanti: si fa in modo che abbiano paura per 5 anni di un esame che il 98% degli studenti supera… Ma chiudiamo la parentesi. Uno degli errori di sistema della scuola è pensare che un ragazzo di 16-17 anni – un ragazzo che non sappiamo cosa farà, che talenti abbia, perché non ce ne frega niente dei suoi talenti, vogliamo solo che abbia la sufficienza in tutte le materie – diventi un piccolo critico letterario e che abbia gli strumenti per farlo. Invece un ragazzo deve leggere qualche poesia, qualche romanzo, non troppi, per confrontare la propria vita, per trovare degli autori. Io l’ho detto varie volte, anche qui, quindi mi ripeterò per qualcuno: la parola autore, come sapete, viene dal latino augeo, cioè, “faccio aumentare”. L’autore è uno che aumenta la tua vita; non si vive senza autori. Solo che o te li scegli o te li impongono i vari poteri che ti circondano. La scuola dovrebbe avere l’unico potere di offrirti autori che il potere non ti impone, se fosse davvero una scuola “libera”. Tutti noi cresciamo perché ci confrontiamo con degli autori e qualcuno di loro ci fa crescere in consapevolezza. Degli autori c’è bisogno soprattutto quando ti senti a rischio: Dante incontra Virgilio nella selva, non al bar mentre beve un caffè. Perciò quando sono in difficoltà o non so dove andare e riconosco uno come autore, mi confronto con lui. Se non senti la vita come rischio, degli autori non sai cosa fartene, se pensi che la vita sia una passeggiata, degli autori non sai cosa fartene, ma se, come credo il 90% di voi, quando hai 15-16 anni e cominci a vedere che qualcuno muore, che l’amore non si capisce bene cosa sia, che il corpo fa degli strani scherzi, che il sangue batte in modo strano, quando ti accorgi che la vita è un po’ una selva (se non te ne sei accorto, svegliati, perché è pericoloso), allora scegliersi gli autori diventa molto importante. Mi sembra abbastanza evidente nel tempo che viviamo. Gli autori o te li scegli o te li impongono; la scuola dovrebbe essere, e in parte lo è, il luogo dove, per fortuna, grazie ai vostri insegnanti, potete scegliervi autori che non sono quelli che il mondo vi propone. Per fare alcuni esempi: la Ferragni a Sanremo ve la impongono, non è che la scegliete, e ve la fanno passare come una intelligente perché ha due milioni di follower. A scuola invece avete la possibilità di scegliervi qualcuno, Leopardi, Ungaretti, Pascoli. Non li vedrete mai promossi dal potere, questi, però ve li potete scegliere. Ora, Pascoli per me è stato un autore importante, non lui come persona intendo, ma la sua opera è stata autorevole; io non voglio imitare Pascoli come persona o Leopardi o Dante. Sarebbe anche un po’ stupido pensare di imitarli come persone. Tuttavia quello che c’è nelle loro opere è autorevole per me. Infatti, seconda cosa di metodo e poi leggiamo il testo, io diffido molto di quelli che dicono leggiamo l’opera per incontrare l’autore, perché noi incontriamo l’opera e non l’autore. Io scrivo poesie, chi le legge non deve necessariamente conoscere i miei fatti personali. Certo, può conoscere alcune cose della mia vita, quelle più generali e quelle che probabilmente sono comuni alla vita di tutti (i dolori, gli amori), ma non i fatti personali. In alcuni libri di scuola, purtroppo, ha cominciato ad apparire qualche mia poesia, che vorrei fosse tolta, e anche qualche piccola biografia di 10 righe (che per una vita mi sembra un po’ poco). Cosa vuol dire? Uno pensa di incontrare un uomo perché ne legge qualche poesia e anche 10 righe o 10 pagine di biografia? È una follia, è una …