Non è pensabile che si possa stendere una relazione su Pasolini rimanendo all’interno di quell’atteggiamento che troppo spesso ricorre, non solo in ambito accademico, e che potremmo definire, mutuando un termine dal ciclismo su pista, surplace. Vale a dire quella disposizione che facilmente s’insinua nell’animus del critico per cui l’osservazione che compie sul suo oggetto (il quale sempre somiglia a un avversario che può sfuggire da un momento all’altro) diviene come un atto immobile, una sospensione, una luce ferma, quasi da tavolo chirurgico.

Da Rivista Testo XXIII 1997

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