don giussani
don giussani, libro di carmen giussani
Carmen Giussani, Il Gius - Don Giussani. Una vita appassionante, Baldini+Castoldi 2022
Prefazione di Davide Rondoni

Ho incontrato una volta Dio al bar. E mi ha confessato una cosa. Non sopporta l'amore obbligatorio, non sopporta la sottomissione. Ci avrei scommesso. Non sarebbe Dio ma un padrone idiota e insopportabile. Invece ama gli amori liberi, veramente liberi.
Per questo ha fatto la cosa più strana possibile.

Si dice che Luigi Giussani avesse quel che si chiama "un carisma".
È una parola suggestiva, che oggi viene usata spesso (pare ci siano tipi carismatici in tanti ambiti, dallo spettacolo alla politica, dallo sport al business). Sospetto che la parola sia un po' abusata, come accade per parole che indicano qualcosa che manca e perciò viene continuamente evocata. Ad esempio, accade anche per la parola "evento" o "avvenimento", peraltro care al Gius. Ormai si chiama "evento" qualsiasi concertino o inaugurazione di profumeria. Forse perché di reali aventi o avvenimenti che segnano e cambiano la vita sembra che l'esistenza dell'uomo contemporaneo sia vuota. O forse ad essi, che si celano a volte in minime cose e presenze, tale nostra esistenza è divenuta insensibile. Un avvenimento è tale se cambia la prospettiva sul vivere, se introduce qualcosa di nuovo davvero. Non è solo qualcosa che "succede".
Ecco, dunque che anche di carisma si parla spesso, tra programmi tv, social etc.
Il termine indica che per motivi non ben distinguibili e analizzabili, a volte confusi, quel tizio o quella tizia esercita un fascino più di altri.
In un certo senso un carisma è una dote, un dono, che puoi usare, come tutti le doti e i doni, bene o male. Lo si può vivere insomma in modo fertile o sterile, generoso o egoistico. Ci sono quelli che "sfruttano" il proprio carisma per guadagnarci su qualcosa - in soldi, in fama, in vanità - spesso divenendo da carismatici a grotteschi. E ci sono quelli che dal proprio carisma cercano di trarre frutti buoni per tutti. Spesso divenendo nel tempo da punti sconosciuti a punti luminosi della storia.

Luigi Giussani era un ragazzino sveglio di Desio, paesino brianzolo, sperduto tra un bel po' di paesini simili, a nord della Grande Milano. Ora è un nome caro, caro fino alle lacrime nel sorriso, a decine di migliaia di persone in tutto il mondo.
Il carisma nell'ambito della fede cristiana è inteso come un dono fatto a qualcuno perché animi la vita di tanti.
Il suo imprendibile mistero (Perché? Perché a lui, a lei? Perché in questo frangente storico?) affonda nel mistero stesso della paternità e maternità di Dio nei confronti della sua creatura amata. Noi, l'essere umano.
Al bar Dio aveva occhi meravigliosi e imprendibili, mentre mi parlava del suo problema.
Come è possibile per Dio infatti persuadere questo essere bizzarro, instabile, a volte meraviglioso e a volte orrendo, questo essere umano che siamo, com'è possibile invitarlo ad amare il suo Destino, Dio, il suo PadreMadre, l'Essere da cui sorge? Invitarlo, non obbligarlo. Ecco, per affrontare questo problema, Dio ha fatto la cosa strana. E continua a farla. Da tale strana iniziativa di Dio sono nate storie e personalità singolari. Figure "impreviste", tantopiù in un mondo dove si vive come se Dio non esistesse e dove si ciancia molto di amore, ma di vero amore libero ce n'è poco.

Per approfondire, leggi su Avvenire: Il prete che mi ha insegnato a sire sì alla mia vita. Don Giussani, irregolare di Dio

Insomma Dio, avendo questo struggimento, questo problema di farsi amare liberamente, si è inchinato dinanzi a una ragazzina di quindici anni, Maria. Si è inchinato come un innamorato qualsiasi, per chiederle: ehi, mi dici "sì"? Si è chinato coi suoi angeli in lacrime e in festa, perché sapeva che il "sì" di lei avrebbe fatto iniziare una storia tremenda e meravigliosa.
Una storia dove Suo figlio avrebbe fatto cose miracolose, delicatissime e potenti, e avrebbe passato anche un sacco di guai prima di cavarsela, prima di cavarsela alla grande, risorgendo, stappando il primo brindisi vero, assoluto alla vita.
Insomma Dio si "è dovuto" inchinare a lei, "termine fisso d'etterno consiglio" come dice Dante, nome fissato da eternamente sempre. Perché se lei diceva "sì" poteva iniziare una storia di amore libero tra gli esseri umani e Dio. Un amore non obbligatorio, un amore che ha il sì dell'innamorato e del figlio, della figlia e del perdonato. Non il sì dello schiavo.
Non sono un teologo, e si vede. Ma certe cose si ammirano, e se le approfondisci ti segnano per sempre.
I carismi che sorgono nella storia sono una continuazione, per così dire, di quell'evento. Di quell'avvenimento, come amava dire don Gius.
Sono un inchino di Dio a qualcuno, che pieno di grazia, e pieno della propria umanità, dice "sì".
Perché quella storia di amore libero continui nei secoli.
Non è un discorso, il carisma, non una idea. È una "personalità" che trae la sua animazione da un dono speciale.
E tale animazione è voluta da Dio. Perché attraverso quel dono speciale invita e provoca chi ne resta colpito a rivolgersi, anche solo per pochi istanti, a Lui. Che tale "rivolgimento" provocato dall'incontro con un carisma arrivi a investire pochi attimi soltanto, o l'intero arco di una esistenza, è un dono, una storia di grazia e libertà.

Don Giussani è stato un uomo che ha ridestato e movimentato la vita in tanti. Lo ha fatto con la sua simpatia eccezionale, con la sua finezza, con il suo coraggio, con le sue parole, con la sua intera umanità. Che traspare nei discorsi e nei libri, e che in tanti episodi, gesti, situazioni, ha segnato la vita di persone che lo hanno frequentato, per anni o per pochi attimi.
La esistenza di don Giussani ha generato intorno a sé un movimento. Analogamente a quanto accadeva nelle prime comunità cristiane e con la prima comunità raccolta intorno a Gesù, la presenza eccezionale di un uomo ha generato amicizie (quante volte torna questa parola in queste pagine! Eco del "vi ho chiamato amici" che Gesù dice ai suoi).
E ha generato pensieri, opere, avventure personali e collettive. Un movimento dell'animo e del pensiero che da una persona passa ad altri. Per decenni durante la sua esistenza, e poi nel tempo a venire. Per la Chiesa, la suscitazione di questi carismi, coincide con la sua medesima storia. Una storia fatta da Dio. Innumerevoli sono i carismi che nei secoli hanno movimentato la storia con ordini, gruppi, movimenti.
Il Carisma di don Giussani è sorto in Italia nel momento in cui la nazione, da sempre considerata cattolica per storia, per la presenza e l'importanza del Papa e per vicende politiche, toccava un apice e una crisi che solo pochi seppero interpretare.
Giovane uomo di forte cultura, di vaste letture, don Giussani comprese patendo sulla propria pelle che qualcosa non andava. Il formalismo di certe pratiche - che a lui stesso stavano strette fin dal seminario - la cappa di perbenismo a cui si riduceva spesso una fede priva di ragioni e di speranze vive e operanti, e la conseguente cecità del mondo cattolico a leggere le reali sfide esistenziali e culturali del tempo, lo spinsero, con l'audacia dei semplici di cuore e il coraggio del guerrigliero, a tentare una sfida per molti incomprensibile e persino assurda. E dunque scomoda. Sfidare la modernità - e le filosofie e ideologie che la innervavano spesso in aperta opposizione al cristianesimo - sul terreno su cui stava entrando in crisi: la concezione di cosa è la libertà, e di cosa è veramente "liberazione" della persona umana.
Sul terreno di questa sfida sono leggibili la ricchezza di grazia, la intelligenza culturale, e anche le polemiche che accompagnarono la vita di don Giussani e dei suoi "ragazzi". Aveva mirato, per così dire, al bersaglio grosso. Alla pretesa delle filosofie e ideologie imperanti di rappresentare la vera liberazione della vita umana. La polemica anticristiana di molti secoli e le astuzie dell’invasivo potere nelle sue figure novecentesche, erano prese di mira non solo dal "discorso" di don Giussani, ma dalla presenza stessa dei suoi ragazzi, dalla loro gioia, dalla fertilità positiva della loro esistenza. Anche chi si opponeva con furia alla vita che nasceva da don Giussani non poteva e non può sfuggire un certo fascino umano che ne proviene. Don Giussani sapeva e custodiva (e seppe custodire sempre anche in vicende burrascose e nelle opacità della storia) la fonte autentica di quel "fascino": l'avvenimento cristiano, l'incredibile notizia della incarnazione, la figura di Gesù Cristo capace di passione e di dedizione per la vita umana come nessun’altra nella storia. E fissò in un nome, peraltro non inventato da lui, il senso profondo del suo carisma e della vita che ne è mobilitata: Comunione e liberazione. Non dalla politica, non dalla burocrazia perfetta, non dallo sforzo morale, non dalla scienza o dalla tecnologia, non dalla sottomissione a un Dio lontano viene "la liberazione". Ma dalla comunione, da una vita intesa come amicizia in cammino verso il destino. Un'amicizia liberante perché fondata non su un progetto sociale o su una preferenza psicologica, ma sull'avvenimento di Cristo presente.

Non è questo il luogo dove ripercorrere le tappe di un'avventura che, partendo da un vagone di treno per pendolari e dai gradini di un liceo milanese, ha portato la figura di don Giussani a essere sentita vicina, autorevole e movimentante, da migliaia di persone in tutto il mondo, in contesti culturali e civili diversi, e che lo ha portato a essere in vario modo un "riferimento" per i papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Per questo esistono documentate pubblicazioni.
"Non ho inteso fondare niente", ripeteva. Aveva assistito, lui stesso meravigliandosi per primo, all'insorgere di tante persone, amicizie, opere e avventure sociali che traevano linfa dal rapporto con la sua umanità e le sue parole. Era un guerrigliero, in un certo senso. La sfida a cui si accennava sopra assorbiva tutto il suo spirito animato da una fede bambina, tutta la sua intelligenza febbrile e profonda, tutta la sua passione umana, consapevole - nel tempo - della eccezionalità che lo aveva investito. Un temperamento nutrito da radici familiari - la madre credente, il padre ebanista anarchico - da studi con grandi maestri a cui fu sempre riconoscente, da insofferenze personalissime verso l'inautentico, e da speciali coraggio e delicatezza nell'affrontare situazioni complicate, collettive e individuali. Un temperamento che si era appassionato a Cristo come risposta alla potentissima domanda di senso e di bellezza che lo abitava fin da ragazzetto. Quella domanda di senso che vedeva nelle poesie di Leopardi, nelle musiche di Donizetti, e nei volti delle persone che fissava con profondità. Di questo temperamento conquistato dalla fede, molti fatti sono testimonianza, molti elementi inducono a individuare i segni di santità, e molti ricordi sono depositati nella memoria dei suoi amici e figli. È come un tesoro che non smette di essere "di speranza fontana vivace".

Sono scene che si presentano in modo analogo alle scene del Vangelo, o di tanti altri libri di racconti di vita speciale.
Le scene stanno sospese su un racconto non dettagliato di tutto. Non si tratta dunque di narrare una storia per magnificarne il protagonista. Semmai il contrario. Si colgono i segni, i riflessi che dalla sua vita arrivano alla nostra.
Non si tratta, dunque, di ricostruire in modo peraltro lacunoso un esaustivo ritratto di una figura ricca e sorprendente, viva al modo di una figura michelangiolesca, come don Giussani, ma di raccogliere, di registrare, come un sismografo, alcune delle onde che a tanti sono arrivate da quel "terremoto", da quell'evento che si collega a un avvenimento, l'Incarnazione, che ne è l'epicentro.

Questo libro raccoglie alcuni di questi riflessi, o chiamiamole onde, tra i tanti. E certo possono introdurre a esser curiosi sulla vita che in don Giussani ha gridato e pregato e amato, e che da lui è nata e s'è trasmessa a tanti. Carmen, la nipote, ha raccolto da tanti amici vicini e lontani, questi racconti di episodi, a volte minimi, a volte apparentemente marginali, e però capaci di segnare una esistenza.
In essi il lettore potrà intravvedere la vibrante appassionata umanità di Luigi Giussani. Chi come il sottoscritto, suo "figlio" più strano e impresentabile, ha avuto la fortuna di condividere per parecchi anni la sua vicinanza e la collaborazione, ha vivi nella memoria centinaia di episodi simili, che illustrano la temperatura di vita e di fede da cui sorgevano poi le parole, gli impetuosi e commoventi discorsi che hanno colpito e persuaso alla fede migliaia e migliaia di persone che lo hanno solo conosciuto da lontano, e in quella strana lontananza e prossimità che sono gli amici e libri che ne riportano i pensieri.

Ricordo che un giorno si doveva presentare un suo libro che ho aiutato a "comporre": si trattava dell'antologia di poesie del suo amatissimo Giacomo Leopardi "Cara Beltà...". Come gli piaceva questo titolo, che gli suggerii di slancio al momento in cui si doveva scegliere, avendo in mente come sostava su quell'espressione, quando leggeva in pubblico la poesia "Alla sua donna". "E come vuoi chiamarlo 'sto libro se non con quell'inizio che ti piace tanto...". Era una delle poesie che citava e commentava più spesso, per quella nostalgia struggente di una presenza... L'evocazione "Cara Beltà..." faceva tremare il cuore di don Giussani. Non credo che possa avvicinarsi davvero alla comprensione del suo carisma chi similmente non impara a tremare...
Si era dunque alla Fiera di Milano per presentare quel libro. Anno 1993, mi pare. Prima di uscire dallo stanzino dove ci si era trovati per entrare in sala, don Gius disse che era spettinato e cercava un pettine. Fu allora che mia moglie estrasse dalla borsa uno di quei grandi pettinoni dorati, molto appariscenti, tipo da spiaggia al mare e glielo porse. Lui lo afferrò sorridendo e si sistemò con quell'aggeggio dorato e pop. Poi su uscì. E la conferenza fu bellissima, vibrante. Chiunque ha ascoltato don Giussani parlare di Leopardi e di quello struggimento che lo accompagnava quando fin da giovane seminarista ripeteva le parole del poeta dopo aver ricevuto l'Eucarestia (poiché Cristo è la risposta alla domanda di Leopardi o non serve a nulla) ecco, chiunque lo ha sentito parlare di queste cose, ne è rimasto segnato. Ogni volta che ne parlava era un accendersi di discorso vivo, coinvolgente. Poetico, nel senso, come discutemmo un giorno, perché lui, don Giussani, quando parlava di qualcosa era alla stregua dei poeti impegnato a inseguire, a penetrare, a conoscere ciò di cui stava parlando. In molti ti "spiegano" il Vangelo (o la matematica o il vino). E non succede nulla. In pochi vedi la tensione a mettere a fuoco l'oggetto di cui parlano con le parole che usano e che quindi si movimentano, si accedono, sono vive di tutta la vita di chi parla. Don Giussani parlava così, poeticamente. Di Leopardi o del primo incontro tra i discepoli e Gesù o di un fatto di cronaca. Di tutto. Dunque anche quella volta fu bello e spiazzante ascoltarlo. Al termine, tra i molti che si assiepavano al tavolo dei relatori per salutarlo, si fece largo una signora anziana. Ne ricordo ancora il volto. Non percepii bene chi fosse, se una vecchia insegnante o una compagna di scuola. Era, mi parve, più anziana del don Gius che aveva superato i 70. Ma ecco, appena lei gli si presentò, emozionata, lui la accolse con un complimento: "Che freschezza!" le disse guardandola in viso. Tremai per l'esattezza umana di quelle parole. Per l'esattezza non solo o non tanto della descrizione, ma per così dire, della valorizzazione, l'esattezza nel cogliere un desiderio vitale e una situazione esistenziale. Una esattezza poetica, cioè umana.
In molti casi, sia nel parlare pubblico che privato ho visto questo. Ho in mente tante risposte date a miei interrogativi, a domande, a ricerca di confronto.
E ho in mente centinaia di episodi che tra amici ci raccontavamo e continuiamo a raccontarci. Ma non come si fa per "i famosi". Bensì quando si smuove la brace per vivificare il fuoco. Anche aneddoti simpatici. E non mancano, con una persona simpatica quale il Gius, ma veramente simpatica, non come quei preti mezzo umani, mezze statue di cera, e come lui stesso rimarcava in quanto mezzi virili anche mezzi preti. Poiché era interamente uomo, era interamente sacerdote.
Tra gli episodi "buffi" ricordo quello di un signore, Dino, che desiderava tanto incontrarlo e mai ne aveva avuto occasione. Finché un giorno si era trovato casualmente con don Gius in un ascensore. E non sapendo che dire su due piedi, essendo lui stesso fisicamente non alto e con un viso simpatico e non proprio regolare, disse: "Dicono che ti somiglio..." E don Gius: "Ma no! Tu sei molto più bello". Fine della corsa in ascensore. Dino racconta da allora - e sono passati 50 anni - che ancora si domanda come ha fatto a usare il tempo che aveva per dire a don Gius una cosa importante uscendosene invece con quella cavolata. E che però forse, vista la risposta, non lo è. Perché gli incontri con don Gius, anche quelli simpatici, o quelli bruschi, dove si discuteva, dove si stava dinanzi a cose spinose o cose delicate e terribili, segnavano. Non lasciavano quella sorta di beatitudine idiota che sta sui volti di chi "ha visto" o è stato per un po' con un vip, un famoso, un leader. Beatitudine che evapora alla prima curva. No, lasciava inquietudini, domande aperte. Lasciava piste, non punti di arrivo.
"Vi auguro di non essere mai tranquilli", gridò quasi, chiudendo uno dei suoi interventi più noti, al Meeting di Rimini.
Pensando forse ai tanti, specie a quelli con più numeri, con più temperamento, gente con più doti che si erano raccolti intorno a lui diceva: "Ho puntato sempre sulla libertà". Come a dire che, analogamente a quanto accade nel Vangelo, il Fatto di Cristo e dei suoi testimoni non "impone" nulla a nessuno, non pretende, non obbliga. Vale per i poveri, per i ricchi, per quelli molto dotati e pubblicamente riconosciuti e per quelli che tutti ignorano e sembrano non fare nulla di eccezionale. Ma quel Fatto chiede una sincerità nel riconoscere i segni di una "presenza eccezionale". Poi la libertà, sempre, decide, "rintocca", come diceva il poeta Betocchi. E c'è chi si attacca, chi resta, e chi se ne va, anche se difficilmente dimentica. Ma quante presunte ricchezze l'uomo contemporaneo ha affollato, quasi come una trincea, per non vedere lo sguardo di Cristo? Per resistere al fascino di un incontro che introduce una prospettiva diversa a tutto, alla vita, all'amore, al dolore, alla morte?

Certo, come don Gius ripeteva spesso, molte volte è la stata la Chiesa ad andarsene da Cristo, a vergognarsi di Cristo. Ridotta spesso a clericale istituzione, a potere, a noia, invece di essere corpo di Cristo presente e vivo tra le persone. E altrettante volte la Chiesa attraverso la fede anche di una persona sola, o di una piccola comunità, ha fatto bene alla vita di tanti.
Don Gius ha dato la vita per una nuova riforma della Chiesa e il suo contributo sta dando i frutti, e li darà nel tempo.
"È l'umanità che ha abbandonato la Chiesa
o è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità?"
Don Giussani non ha mai eluso questa domanda, anzi l'ha brandita per tutta la vita come fiaccola per vedere cosa stava combinando coi suoi. Era un uomo certo della fede e deciso nel gesto e nell'azione, ma queste erano continuamente meditate e verificate.
Ha proposto il cristianesimo, senza aggiunte, senza deviazioni. Un cristianesimo "generico" diceva, cioè essenziale. Dandone le ragioni, mostrando come si può essere pienamente uomini e donne e cristiani. Uomini ragionevoli e legati a Cristo. Come tanti in ogni epoca. E presenti come tali nell'epoca e nel contesto che ci si trova a vivere.

Prima di crollare in ginocchio, anziano e semplice come un bambino, davanti a Giovanni Paolo II che lo rialzava essendo vecchi amici, terminò uno dei suoi ultimi discorsi, tenuto in piazza san Pietro, con queste parole:
"Il protagonista della storia è il mendicante. L'uomo mendicante del cuore di Cristo e Cristo mendicante del cuore dell'uomo".
Quelle parole e quel gesto sono tra i più emblematici dell'uomo Luigi Giussani.

Gli chiesi una volta, quasi a bruciapelo: "Perché c'è il dolore?" - dovevo scrivere per la sua collana una prefazione alle terribili magnifiche lettere sul dolore di Mounier, il grande filosofo francese. E lui: "Non c'è risposta a questa domanda".
Evvai! Secoli di untuoso mellifluo banale "rispostismo" cattolico tra il consolatorio e il peloso, fatti fuori da quella passione e esattezza. "C'è l'avvenimento della croce, a cui guardare, a cui offrire. C'è quella prospettiva di dolore vinto da lui, dalla Resurrezione".

Il suo parlare non lasciava idee, o meglio lasciava idee nel senso letterale della parola: qualcosa da guardare, ti faceva vedere qualcosa, qualcuno. Una strada. Mai astratto in senso mentale, ma vivo, esistenziale.
Per questo amava dire, usando una metafora: facendo "il movimento" facciamo poesia. Che per i brianzoli, cocciuti lavoratori, della sua generazione era come dire: una cosa inutile. Ma appunto lui rovesciava ancora una volta il punto di vista. Sì, facciamo una cosa apparentemente inutile, come la poesia, ma una di quelle cose "inutili" che per la sua bellezza e per la ferita di cielo che portano senso alla vita. E così indicava la strada a chi rimaneva colpito da lui - e mostrava ben Altro che solo se stesso. Ha fatto molte cose, ma una la ha fatta sempre: ha sostenuto la speranza delle persone.
C'è forse impresa, opera, merito più bello?

L'ho ringraziato a modo mio, la notte che ci ha lasciato.

Mi rivesto in una stanza d’albergo,

Milano

ha una delle tante mattine senza luce,
piango lentamente la tua morte,
stanotte milioni di chilometri
hanno sospeso il respiro
e tutte le autostrade percorse per te
si sono sollevate come nastri
in un saluto di bambini.

C’era amicizia persino qui
dove la città ramifica, stordisce,

piango miseramente la tua morte
e allaccio la camicia nello specchio

stanotte le stelle hanno trattenuto
la forza del tuo corpo
e le case dei tuoi ragazzi
hanno sentito il sussurro dei rami –

piango violentemente la tua morte,
il cielo ferisce il petto, la grazia
è faccenda da uomini semplici, vivi.

Piango dolcemente la tua morte,
e apro la porta a vetri di questo albergo.

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